Uno dei concetti più importanti da usare quando si mette in questione la teoria darwinista alla luce delle scoperte scientifiche è senza dubbio il criterio che Darwin stesso usò. Nella Origine delle specie, Darwin espresse una serie di criteri concreti suggerendo in che modo la sua teoria poteva essere testata e, in mancanza di scoperte, confutata. Molti passaggi del suo libro iniziano “Se la mia teoria fosse vera" e in questi Darwin descrive le scoperte si cui la sua teoria ha bisogno. Uno dei più importanti di questi criteri riguarda i fossili e le “forme di transizione”. Nei precedenti capitoli, abbiamo esaminato come queste “profezie” di Darwin non si sono avverate e come, al contrario, i reperti fossili contraddicono completamente il darwinismo.
Oltre a ciò, Darwin ci dette un altro importante criterio con cui testare la sua teoria. Il criterio è tanto importante, scrisse Darwin, che poteva far sì che la sua teoria crollasse completamente.
Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualsiasi organo complesso che non abbia potuto essere formato attraverso modificazioni numerose, successive, lievi, la mia teoria dovrebbe assolutamente cadere. Ma non riesco a trovare nessun caso del genere. 312
A questo punto dobbiamo esaminare molto attentamente le intenzioni di Darwin. Come sappiamo, il darwinismo spiega le origini della vita con due inconsapevoli meccanismi naturali: la selezione naturale e i cambiamenti casuali (in altre parole, mutazioni). Secondo la teoria darwinista, questi due meccanismi portarono alla comparsa della complessa struttura delle cellule viventi nonché dei sistemi anatomici di esseri viventi complessi come occhi, orecchie, ali, polmoni, sonar dei pipistrelli e milioni di altri sistemi complessi.
Com’è, però, che questi sistemi che hanno strutture incredibilmente complicate, possono essere considerati il prodotto di due effetti naturali inconsci? A questo punto, il concetto che applica il darwinismo è quello della “riducibilità”. Si afferma che questi sistemi possono essere ridotti ai loro stati più basilari e che possono poi essersi sviluppati per fasi. Ciascuna fase dà ad un essere vivente un vantaggio leggermente maggiore e viene quindi scelto attraverso la selezione naturale. Poi, successivamente, ci sarà un altro piccolo sviluppo casuale e anche quello sarà preferito perché dà un vantaggio e il processo va vanti in questo modo. Grazie a questo, secondo le affermazioni darwiniste, una specie che in origine non aveva occhi arriva a possederne di perfetti e un’altra specie che precedentemente non era in grado di volare sviluppa ali ed è in grado di farlo.
Questa storia è spiegata in una maniera molto convincente e ragionevole nelle fonti evoluzioniste. Ma se si riflette su di essa, appare un grave errore. Il primo aspetto di questo errore è un argomento che abbiamo già studiato nelle precedenti pagine di questo libro. Le mutazioni sono distruttive, non costruttive. In altre parole, mutazioni casuali che si presentano nelle creature viventi non danno loro alcun “vantaggio” e, inoltre, l’idea che di poterlo fare migliaia di volte, l’una dopo l’altra, è un sogno che contraddice tutte le osservazioni scientifiche.
Ma c’è ancora un altro aspetto molto importante nell’errore. La teoria darwinista richiede che tutte le fasi da un punto all’altro siano “vantaggiose” per l’individuo. In un processo evolutivo dalla A alla Z (per esempio da un creatura senza ali ad una alata), tutte le forme “intermedie” B, C, D, … T, U e V lungo il percorso devono dare vantaggi all’essere vivente in questione. Poiché non è possibile che selezione naturale e mutazioni scelgano consapevolmente i loro obiettivi in precedenza, tutta la teoria si basa sull’ipotesi che i sistemi viventi possono essere ridotti a tratti discreti che possono essere aggiunti all’organismo in piccole fasi ognuna delle quali porta con sé un qualche vantaggio selettivo. Ecco perché Darwin disse, “Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualsiasi organo complesso che non abbia potuto essere formato attraverso modificazioni numerose, successive, lievi, la mia teoria dovrebbe assolutamente cadere”.
Dato il livello primitivo della scienza nel diciannovesimo secolo, Darwin può avere pensato che gli esseri viventi posseggono una struttura riducibile. Ma le scoperte del ventesimo secolo hanno dimostrato che molti sistemi ed organi degli esseri viventi non possono essere ridotti alla semplicità. Questo fatto, noto come “irriducibile complessità” distrugge il darwinismo come Darwin stesso aveva temuto.
An electric motor—but not one in a household appliance or vehicle. This one is in a bacterium. Thanks to this motor, bacteria have been able to move those organs known as "flagella" and thus swim in water. This was discovered in the 1970s, and astounded the world of science, because this "irreducibly complex" organ, made up of some 240 distinct proteins, cannot be explained by chance mechanisms as Darwin had proposed.
La persona più importante ad aver portato il concetto di irriducibile complessità in prima linea nell'agenda scientifica è il biochimico Michael J. Behe della Lehigh University degli Stati Uniti. Nel suo libro Darwin's Black Box: The Biochemical Challenge to Evolution, pubblicato nel 1996, Behe esamina la struttura irriducibilmente complessa della cellula e una serie di altre strutture biochimiche e rivela che è impossibile spiegarle con l’evoluzione. Secondo Behe, la vera spiegazione della vita è la creazione.
Il libro di Behe fu un duro colpo per il darwinismo. Peter van Inwagen, professore di filosofia presso l’università di Notre Dame, sottolinea in questo modo l’importanza del libro:
Se il darwinismo risponde a questo importante libro ignorandolo, rappresentandolo in modo errato o ridicolizzandolo questo sarà una prova a favore del diffuso sospetto che, oggi, il darwinismo funziona più come una ideologia che come una teoria scientifica. Se possono rispondere con successo agli argomenti di Behe, questa sarà una prova importante a favore del darwinismo.313
Uno degli esempi più interessanti di irriducibile complessità che Behe dà nel suo libro è il flagellum del batterio. Questo è un organo a forma di frusta usato da alcuni batteri per muoversi in un ambiente liquido. Questo organo è inserito nella membrana cellulare e consente al batterio di muoversi in una direzione scelta ad una particolare velocità.
Gli scienziati conoscono il flagellum da qualche tempo. I suoi dettagli strutturali, però, che sono emersi solo all'incirca nell'ultima decade, si sono rivelati una grande sorpresa. Si è scoperto che il flagellum si muove per mezzo di un “organo motorio” molto complicato e non con un semplice meccanismo di vibrazione come si credeva in precedenza. Questo motore simile ad un’elica è costruito sugli stessi principi meccanici di un motore elettrico. In esso ci sono due parti principali: una parte mobile (il “rotore”) e un parte stazionaria (lo “statore”).
Il flagellum del batterio è diverso da tutti gli altri sistemi organici che producono movimento meccanico. La cellula non utilizza l’energia disponibile accumulata nelle molecole ATP. Ha, invecem una fonte di energia speciale: I batteri usano l’energia che viene dal flusso di ioni attraverso le membrane cellulari esterne. La struttura interna del motore è estremamente complessa. Nella costruzione del flagellum entrano circa 240 proteine diverse. Ciascuna è attentamente posizionata. Gli scienziati hanno stabilito che queste proteine trasportano i segnali per attivare o disattivare il motore, formano giunti per facilitare il movimento su scala atomica e attivano altre proteine che collegano il flagellum alla membrana cellulare. I modelli costruiti per riassumere il funzionamento del sistema sono sufficienti a descrivere la natura complicata del sistema.
La complessa struttura del flagellum del batterio è sufficiente di per sé a demolire la teoria dell’evoluzione dal momento che esso ha una struttura irriducibilmente complessa. Se una singola molecola di questa struttura favolosamente complessa dovesse scomparire o diventare difettosa, il flagellum non potrebbe operare né essere di alcun uso per il batterio. Il flagellum deve lavorare perfettamente sin dal primo momento della sua esistenza. Questo fatto rivela ancora una volta il nonsenso dell’affermazione della teoria dell’evoluzione dello “sviluppo passo passo". In realtà non un solo biologo evoluzionista è riuscito finora a spiegare l’origine del flagellum del batterio anche se alcuni hanno tentato di farlo.
Il flagellum del batterio è una chiara prova che anche in creature che si suppone siano “primitive” c’è un progetto straordinario. Ma mano che l’umanità apprende maggiori dettagli diventa sempre più ovvio che gli organismi che gli scienziati del diciannovesimo secolo, compreso Darwin, consideravano i più semplici, sono in realtà tanto complessi quanto gli altri.
L’occhio umano è un sistema molto complesso che consiste della delicata unione di circa 40 elementi separati. Prendiamo in considerazione solo uno di questi componenti: per esempio, il cristallino. In genere non ce ne rendiamo conto, ma la cosa che ci consente di vedere le cose chiaramente è la costante messa a fuoco automatica del cristallino. Se si vuole, si può fare un piccolo esperimento su questo tema: Tenere alto in aria il dito indice: Poi guardare il dito e poi la parete dietro di esso. Ogni volta che lo sguardo passa dal dito alla parete si percepisce una regolazione.
Questa regolazione è fatta da piccoli muscoli intorno al cristallino. Ogni volta che guardiamo qualcosa, questi muscoli entrano in azione e ci consentono di vedere chiaramente quello che stiamo guardando modificando lo spessore del cristallino e ruotandolo nell’angolazione giusta rispetto alla luce. Il cristallino compie regolazioni ogni secondo della nostra vita e non fa alcun errore. I fotografi fanno a mano le stesse regolazioni nelle loro macchine fotografiche e a volte devono lottare per un certo tempo per avere la giusta messa a fuoco. Negli ultimi 10-15 anni, la moderna tecnologia ha prodotto macchine fotografiche che mettono a fuoco automaticamente, ma nessuna può farlo tanto rapidamente e bene come un occhio.
Perché un occhio possa vedere, i circa 40 componenti di base che lo costituiscono devono essere presenti e lavorare perfettamente assieme allo stesso tempo. Il cristallino è solo uno di essi. Se tutti gli altri componenti, come cornea, iride, pupilla, retina e muscoli oculari sono tutti presenti e funzionano coerttamente, ma manca solo la palpebra, allora l’occhio avrà presto seri danni e cesserà di svolgere la sua funzione. Allo stesso modo, se tutti i sottositemi esistono ma cessa la produzione di lacrime, allora l’occhio si asciuga e diventa cieco in poche ore.
The human eye works by some 40 different parts functioning together. If just one of these is not present, the eye will serve no purpose. Each of these 40 parts has its own individual complex structure. For instance, the retina, at the back of the eye, is made up of 11 strata (left), each of which has a different function. The theory of evolution is unable to account for the development of such a complex organ.
L’affermazione della teoria dell’evoluzione della "riducibilità” perde ogni significato di fonte alla complessa struttura dell’occhio. Il motivo è che, perché l’occhio funzioni, tutte le parti devono essere presenti allo stesso tempo. È impossibile, naturalmente, che i meccanismi della selezione naturale e della mutazioni abbiano dato origine alle dozzine di diversi sottosistemi dell’occhio quando non possono dare alcun vantaggio fino all’ultima fase. Il professor Ali Demirsoy accetta questa verità con queste parole:
È piuttosto difficile rispondere ad una terza obiezione. Come fu possibile che un organo complicato emergesse all’improvviso anche se portava benefici con sé? Per esempio come comparvero all’improvviso cristallino, retina, nervo ottico e le altre parti che nei vertebrati svolgono un ruolo nella vista? Perché la selezione naturale non può scegliere separatamente tra nervo visino e retina. L’emergere del cristallino non ha alcun significato in assenza della retina. Lo sviluppo contemporaneo di tutte le strutture della vista è inevitabile.Poiché parti che si sviluppano separatamente non possono essere usate, esse sarebbero tutte insignificanti e, forse, scomparirebbero col tempo. Allo stesso tempo il loro sviluppo contemporaneo richiede la presenza contemporanea di probabilità inimmaginabilmente piccole.314
Quello che il prof Demirsoy intende realmente con “probabilità inimmaginabilmente piccole” è fondamentalmente una “impossibilità”. È chiaramente impossibile che l’occhio umano sia il prodotto del caso. Anche Darwin aveva grandi difficoltà rispetto a ciò e in una lettera egli ammise persino “Ricordo il tempo in cui il pensiero dell'occhio mi faceva agghiacciare".315
Nell’Origine delle specie, Darwin ebbe grandi difficoltà davanti alla complessità dell’occhio. La sola soluzione che trovò fu indicare la struttura oculare più semplice trovata in alcune creature come l’origine di occhi più complessi trovati in altre. Egli affermò che occhi più complessi si erano evoluti da quelli più semplici. Questa affermazione, però, non riflette la verità. La paleontologia dimostra che gli esseri viventi comparvero nel mondo con le loro strutture straordinariamente complesse già intatte. Il sistema di vista più antico che si conosca è l’occhio del trilobite. Questa struttura di occhio composita di 530 milioni di anni, a cui abbiamo accennato in un capitolo precedente, è una “meraviglia ottica” che operava con un sistema a doppio cristallino. Questo fatto invalida completamente l’assunto di Darwin che gli occhi complessi si sono evoluti da occhi “primitivi”.
Resta da dire che gli organi descritti da Darwin come occhi “primitivi” in realtà hanno una struttura complessa e irriducibile che non può essere mai spiegato dal caso. Anche nella forma più semplice, perché ci sia la vista, alcune delle cellule di una creatura devono diventare fotosensibili – cioè devono avere la capacità di trasformare questa sensibilità alla luce in segnali elettrici; deve essere presente una rete nervosa da queste cellule verso il cervello; si deve formare un centro visivo nel cervello per valutare le informazioni. Non ha senso proporre che tutte queste cose venenro fuori per caso, allo stesso tempo e nello stesso essere vivente. Nel suo libro Evrim Kurami ve Bagnazlik (The Theory of Evolution and Bigotry), scritto per difendere la teoria dell’evoluzione, lo scrittore evoluzionista Cemal Yildirim ammette questo fatto nel modo che segue:
Per la vista, un gran numero di meccanismi devono operare assieme. Oltre all’occhio e ai meccanismi al suo interno, possiamo citare i collegamenti tra centri speciali del cervello e l’occhio. Come venne fuori questa complessa creazione di sistema? Secondo i biologi, il primo passo nella comparsa dell’occhio durante il processo evolutivo fu l’apparire di una piccola area fotosensibile sulla pelle di alcuni esseri viventi primitivi. Ma che vantaggio avrebbe dato un così piccolo sviluppo ad un essere vivente nella selezione naturale?Oltre a questo c’è bisogno che sia formato un centro visivo nel cervello e un sistema nervoso collegato ad esso. Fino a quando questi meccanismi piuttosto complicati non sono collegati l’uno all’altro, non possiamo aspettarci che emerga quella che chiamiamo vista”. Darwin pensava che le variazioni emergevano per caso. Se fosse così, la comparsa di tutte le molte variazioni richieste dalla vista in vari punti dell’organismo allo stesso tempo e il loro funzionare assieme non si rivelerebbe un puzzle mistico?...Comunque, per la vista è necessaria una serie di cambiamenti complementari che operano assieme in armonia e cooperazione...Gli occhi di alcuni molluschi hanno retina, cornea e un cristallino in tessuto di cellulosa proprio come i nostri. Ora com’è possibile spiegare i processi evolutivi di questi due tipi molto diversi che richiedono una serie di eventi casuali solo con la selezione naturale? È materia di dibattito se i darwinisti sono stati in grado di dare una risposta soddisfacente a questa domanda...316
Questo problema è tanto grande dal punto di vista evoluzionista che più guardiamo da vicino i dettagli tanto più la teoria si trova in imbarazzo. Un importante "dettaglio" a cui guardare è l'affermazione circa "la cellula che divenne fotosensibile". I darvinisti lo spiegano dicendo, “la vista potrebbe essere cominciata da una singola cellula diventata fotosensibile”. Ma che tipo di design si suppone abbia avuto una tale struttura?
Nel suo libro Darwin's Black Box, Michael Behe, sottolinea che la struttura della cellula vivente e tutti gli altri sistemi biochimici erano “scatole nere” sconosciute per Darwin e i suoi contemporanie. Darwin ipotizzava che queste scatole nere avessero strutture molto semplici e potevano essere comparse per caso. Ora, però, la moderna biochimica ha aperto queste scatole nere ed ha rivelato la struttura irriducibilmente complessa della vita. Behe afferma che i commenti di Darwin sulla comparsa dell’occhio sembravano convincenti a causa del livello primitivo della scienza del diciannovesimo secolo.
Darwin persuase molta parte del mondo che l’occhio moderno si era evoluto gradualmente da una struttura più semplice, ma non cercò nemmeno di spiegare qual era il suo punto di partenza – il punto relativamente semplice fotosensibile. Al contrario, Darwin trascurò la domanda sull’origine ultima dell’occhio...Aveva un eccellente motivo per declinare la domanda: era assolutamente al di là della scienza del diciannovesimo secolo. İn che modo funziona l’occhio, cioè cosa accade quando un fotone colpisce per la prima volta la retina, semplicemente non poteva avere risposta a quel tempo.317
Quindi, come funzione questo sistema che Darwin semplicemente interpretò come una struttura semplice? In che modo le cellule dello strato retinale percepiscono i raggi di luce che cadono su di esse?
La risposta a questa domanda è piuttosto complicata. Quando i fotoni colpiscono le cellule della retina, attivano una reazione a catena, simile ad un effetto domino. Il primo pezzo del domino è una molecola chiamata 11-cis-retinale, che è sensibile ai fotoni. Quando è colpita da un fotone, questa molecola cambia forma e assume quella di una proteina chiamata rodopsina a cui è strettamente legata. La rodopsina, poi, prende una forma che le consente di aderire ad un’altra proteina residente nella cellula chiamata “transducina”.
Prima di reagire con la rodopsina, la transducina si lega ad un’altra molecola chiamata GDP. Quando si collega alla rodopsina, la transducina rilascia la molecola GDP e si lega ad una nuova molecola chiamata GTP. Ecco perché il nuovo complesso che consiste delle due proteine (rodopsina e trasducina) e di una molecola più piccola (GTP) si chiama "GTP-transducina-rodopsina”.
Ma il processo è appena iniziato. Il nuovo complesso GTP-trasducina- rodospina, può ora legarsi rapidamente ad un’altra proteina residente nella cellula chiamata “fosfodiesterasi”. Questo consente alla proteina fosfodiesterasi di tagliate ancora un’altra molecola residente nella cellula chiamata cGMP. Poiché questo processo ha luogo in milioni di proteine della cellula, la concentrazione di cGMP diminuisce improvvisamente.
In che modo tutto questo contribuisce alla vista? L’ultimo elemento della reazione a catena fornisce la risposta. La caduta nel quantitativo di cGMP influenza i canali ionici della cellula. Il cosiddetto canale ionico è una struttura composta di proteine che regolano il numero di ioni di sodio all’interno della cellula. In condizioni normali, il canale ionico consente agli ioni di sodio di fluire nella cellula mentre un’altra molecola elimina gli ioni in eccesso per mantenere l’equilibrio. Quando il numero di molecole cGMP crolla, lo fa anche il numero di ioni di sodio. Questo porta ad uno squilibrio di carica nella membrana che stimola le cellule nervose collegate a quelle cellule formando quello che viene chiamato un “impulso elettrico”. I nervi trasportano l’impulso fino al cervello e lì avviene la “vista. 318
In breve, un singolo fotone colpisce una singola cellula e, attraverso uan serie di reazioni a catena, la cellula produce un impulso elettrico. Questo stimolo è modulato dall’energia del fotone – cioè dall’intensità della luce. Un altro fatto affascinante è che tutti i processi descritti finora avvengono in non più di un millesimo di secondo. Appena questa reazione a catena è completata, altre proteine specializzate all’interno della cellula riportano elementi quali 11-cis-retinale, rodopsina e transducina ai loro stati originali. L’occhio è sotto un costante flusso di fotoni e le reazioni a catena nelle cellule sensibili dell’occhio gli consentono di percepire ciascuno di essi.
Il processo della vista è in realtà molto più complicato di quanto descritto qui. Questa breve panoramica, tuttavia, è sufficiente a dimostrare la straordinaria natura del sistema. C’è un sistema così complesso, finemente calcolato all’interno dell’occhio che non ha senso affermare che potrebbe essere venuto fuori per caso. Il sistema ha una struttura irriducibilmente complessa. Se anche una delle molte parti molecolari che entrano nella reazione a catena mancasse o non avesse una struttura adatta, il sistema non funzionerebbe affatto.
È chiaro che questo sistema infligge un duro colpo alla spiegazione di Darwin della vita per "caso". Michael Behe fa questo commnto sulla chimica dell’occhio e la teoria dell’evoluzione:
Ora che la scatola nera della visione è stata aperta, non è più sufficiente per una spiegazione evolutiva di tale potere considerare solo le strutture anatomiche degli occhi interi, come faceva Darwin nel diciannovesimo secolo) e come coloro che divulgano l’evoluzione continuano a fare oggi). Ciascuna delle fasi e delle strutture anatomiche che Darwin pensava fossero così semplici in realtà coinvolgono processi biochimici eccezionalmente complicati che non possono insabbiati con la retorica319.
La struttura irriducibilmente complessa dell’occhio non solo confuta definitivamente la teoria di Darwin ma dimostra anche che la vita è stata creata da Dio saggio e che tutto può.
Ci sono molti tipi diversi di occhi nel mondo vivente. Siamo abituati all’occhio tipo macchina fotografica dei vertebrati. Questa struttura funziona sul principio della rifrazione della luce che cade sul cristallino ed è messa a fuoco in un punto dietro il cristallino stesso all’interno dell’occhio.
Gli occhi di altre creature, però, funzionano su metodi molto diversi. Un esempio è l’aragosta.L’occhio dell’aragosta funziona sul principio della riflessione piuttosto che su quello della rifrazione.
La caratteristica principale dell’occhio dell’aragosta è la sua superficie che è composta di numerosi quadrati. Come mostra la figura, questi quadrati sono posizionati in modo estremamente preciso. Come ha commentato un astronomo di Science: “l’aragosta è l’animale meno rettangolare che ho mai visto. Ma la microscopio l’occhio dell’aragosta appare come una carta millimetrata perfetta”.320
Questi quadrati ben disposti sono in realtà le terminazioni di piccoli tubi quadrati che formano una struttura simile ad un nido d’ape. A prima vista, il nido d’ape sembra essere formato da esagono anche se, in realtà, sono la parte anteriore di prismi esagonali. Nell’occhio dell’aragosta ci sono quadrati al posto degli esagoni.
Ancora più intrigante è che i lati di ciascuno di questi tubi quadrati sono come specchi che riflettono la luce in arrivo. Questa luce riflessa è messa a fuoco perfettamente sulla retina. I lati dei tubi all’interno dell’occhio sono posizionati ad angoli perfetti in modo che mettono tutti a fuoco in un singolo punto.
La natura straordinaria di questo sistema non può assolutamente essere messa in discussione. Tutti questi perfetti tubi quadrati hanno uno strato che funziona come uno specchio. Inoltre, ciascuna di queste cellule è posizionata attraverso precisi allineamenti geometrici in modo che tutti mettono a fuoco la luce in un singolo punto.
Michael Land, scienziato e ricercatore presso l’università del Sussex in Inghilterra, fu il primo ad esaminare in dettaglio la struttura dell’occhio dell’aragosta. Land affermò che l’occhio aveva una struttura stupefacente. 321
È ovvio che l’occhio dell’aragosta presenta una grande difficoltà per la teoria dell’evoluzione. Quello che è più importante, è un esempio del concetto di “irriducibile complessità”. Se anche una delle sue caratteristiche – come le sfaccettature dell’occhio, che sono perfettamente quadrate, i lati a specchio di ciascuna unità o lo strato di retina sul retro – fosse eliminata, l’occhio non potrebbe mai funzionare. È quindi impossibile sostenere che l’occhio si è evoluto fase per fase. È scientificamente ingiustificabile ipotizzare che una struttura tanto perfetta come questa possa essere venuta fuori per caso. È assolutamente chiaro che l’occhio dell’aragosta fu creato da Dio come un sistema miracoloso.
The lobster eye is composed of numerous squares. These well-arranged squares are in fact the ends of tiny square tubes. The sides of each one of these square tubes are like mirrors that reflect the incoming light. This reflected light is focused onto the retina flawlessly. The sides of the tubes inside the eye are lodged at such perfect angles that they all focus onto a single point.
Si possono trovare ulteriori tratti nell’occhio dell’aragosta che rendono nulle le affermazioni degli evoluzionisti. Un fatto interessante emerge quando si osservano creature con strutture oculari simili. L’occhio riflettente, di cui quello dell’aragosta è un esempio, si trova solo in un gruppo di crostacei, i cosiddetti decapodi dal corpo lungo. Questa famiglia comprende aragoste, gamberetti e gamberi.
Gli altri membri della classe dei Crustacea presentano “la struttura dell’occhio a tipo rifrangente” che opera su principi completamente diversi rispetto al tipo riflettente. In questo caso l’occhio è costituito di centinaia di cellule come un nido d’ape. A differenza delle celle quadrate dell’occhio dell’aragosta, queste celle sono esagonali o rotonde. Inoltre, invece di riflettere la luce, piccole lenti nelle celle riflettono la luce sul fuoco dell retina.
La maggior parte dei crostacei ha la struttura oculare rifrangente. Secondo le ipotesi degli evoluzionisti, tutte le creature della classe dei Crustacea dovrebbero essersi evolute dallo stesso antenato. Quindi gli evoluzionisti sostengono che l’occhio a specchio riflettente si è evoluto da un occhio rifrangente.
Questo ragionamento, però, è impossibile perché entrambe le strutture oculari funzionano perfettamente nel loro sistema e non ha spazio per alcuna fase di “transizione”. Un crostaceo sarebbe rimasto senza vista e sarebbe stato eliminato dalla selezione naturale se il cristallino rifrangente del suo occhio fosse diminuito e sostituito con superfici a specchio riflettente.
È quindi certo che entrambe queste strutture oculari furono progettate e create separatamente. C’è una tale straordinaria precisione geometrica in questi occhi che credere che vennero fuori per caso è semplicemente assurdo.
Un altro esempio interessante di organi irriducibilmente complessi negli esseri viventi è l’orecchio umano.
Come si sa comunemente, il processo dell’udito inizia con le vibrazioni nell’aria. Queste vibrazioni sono amplificate nell’orecchio esterno. La ricerca ha dimostrato che la parte di orecchio esterno nota come padiglione auricolare opera come una specie di megafono e le onde sonore sono intensificate nel canale uditivo. In questo modo, il volume delle onde sonore aumenta notevolmente.
In suono intensificato in questo modo entra nel canale uditivo esterno. Questa è l’area dall’orecchio esterno verso il timpano. Una caratteristica interessante del canale uditivo, che è lungo circa tre centimetri e mezzo, è il cerume che secerne costantemente. Questo liquido contiene proprietà antisettiche che tengono fuori batteri e insetti. Inoltre, le cellule della superficie del canale uditivo sono allineate a spirale diretta verso l’esterno in modo che il cerume scorre sempre verso l’esterno dell’orecchio mentre è secreto.
Le vibrazioni sonore che passano lungo il canale uditivo, raggiungono in questo modo il timpano. Questa membrana è così sensibile che può percepire vibrazioni anche a livello molecolare. Grazie alla squisita sensibilità del timpano, si può facilmente udire chi mormora da metri di distanza. Oppure si possono sentire le vibrazioni prodotte nello sfregare due dita tra loro. Un’altra caratteristica straordinaria del timpano e che, dopo aver ricevuto una vibrazione, torna allo stato normale. Calcoli hanno rivelato che, dopo aver percepito le più piccole vibrazioni, il timpano diventa immobile entro massimo quattro millesimi di secondo. Se non diventasse di nuovo immobile tanto rapidamente, ogni suono che udiamo echeggerebbe nelle nostre orecchie.
1 -Hammer anvil and stirrup, 2 - Semicircular canals, 3 - Vestbular nerve, 4 - Cochiae, 5 - Eustachian tube, 6 - Eardrum, 7 - External auditory canal
Il timpano amplifica le vibrazioni che lo raggiungono e le invia alla regione dell’orecchio medio. Qui ci sono tre ossa in un equilibrio estremamente delicato tra loro. Queste tre ossa sono note come martello, incudine e staffa; la loro funzione è amplificare le vibrazioni che le raggiungono dal timpano.
Ma l’orecchio medio possiede anche una specie di “tampone” per ridurre livelli di suono eccessivamente alti. Questa funzione è data da due dei muscoli più piccoli del corpo che controllano martello, incudine e staffa. Questi muscoli consentono a rumori eccezionalmente alti di essere ridotti prima di raggiungere l'orecchio interno. Grazie a questo meccanismo, udiamo suoni abbastanza forti da creare uno shock al sistema a volume ridotto. Questi muscoli sono involontari e entrano in azione automaticamente in modo che anche se siamo addormentati e c’è un suono forte accanto a noi, immediatamente si contraggono e riducono l’intensità della vibrazione che raggiunge l’orecchio interno.
L’orecchio medio, che ha un disegno perfetto, deve mantenere un importante equilibrio. La pressione dell’aria all'interno dell’orecchio medio deve essere la stessa di quella al di là del timpano, in altre parole la stessa pressione di quella dell’atmosfera. Ma si è pensato a questa pressione ed è stato costruito un canale tra l’orecchio medio e il mondo esterno che consente lo scambio di aria. Questo canale è la tromba di Eustachio, un tubo cavo che va dall’orecchio interno alla cavità orale.
Si noterà che tutto quello che abbiamo esaminato finora riguardale vibrazioni nell’orecchio esterno e medio. Le vibrazioni sono costantemente mandate avanti ma finora non c’è niente se non un movimento meccanico. In altre parole, non c’è ancora alcun suono.
Il processo attraverso cui questi movimenti meccanici cominciano a diventare suoni inizia nell’area nota come orecchio interno. L’orecchio interno è un organo a forma di spirale pieno di liquido. Questo organo si chiama coclea.
L’ultima parte dell’orecchio interno è l’osso detto staffa che è collegato alla coclea per mezzo di una membrana. Le vibrazioni meccaniche dell’orecchio medio sono inviate al liquido dell’orecchio interno da questa connessione.
1- Utriculus, 2 - Common crus, 3 - Superior semicircular canal, 4 - Lateral semicircular canal, 5 -Ampulla, 6 - Posterior semicircular canal, 7 - Oval window, 8 - Vestibular nerve, 9 - Cochlea, 10 - Vestibule canal, 11 - Cochlea duct, 12 - Tympanic canal, 13 - Vestibular nerve, 14 - Sacculus
The complex structure of the inner ear. Inside this complicated bone structure is found both the system that maintains our balance, and also a very sensitive hearing system that turns vibrations into sound.
Le vibrazioni che raggiungono il liquido dell’orecchio interno creano effetti onda nel liquido stesso. Le pareti interne della coclea sono rivestite da strutture simili a piccoli peli, chiamati stereocilia, che sono influenzati da questo effetto onda. Questi minuscoli peli si muovono in stretto accordo con il movimento del liquido. Se viene emesso un suono forte, più peli si piegano in modo più forte. Ogni frequenza diversa nel mondo esterno creano effetti diversi sui peli.
Ma qual è il significato del movimento di questi peli? Cosa ha a che fare il movimento di piccoli peli della coclea nell’orecchio interno con l’ascolto di un concerto di musica classica, il riconoscimento della voce di un amico, l’udire il rumore di una macchina o distinguere milioni di altri tipi di suono?
La risposta è quanto mai interessante e una volta ancora rivela la complessità del design dell’orecchio. Ciascuno dei piccoli peli che copre le pareti interne della coclea è in realtà un meccanismo che sta in cima a 16.000 cellule pilifere. Quando questi peli percepiscono una vibrazione, si muovono e si spingono l’un l’altro, proprio come un domino. Questo movimento apre canali nelle membrane delle cellule che stanno al di sotto dei peli. E questo consente l’afflusso di ioni nelle cellule. Quando i peli si muovono nella direzione opposta, questi canali si chiudono di nuovo. Quindi questo costante movimento dei peli causa costanti cambiamenti nell’equilibrio chimico all’interno delle cellule sottostanti che, a loro volta, consentono loro di produrre segnali elettrici. Questi segnali elettrici sono inviati al cervello da nervi e il cervello poi li elabora trasformandoli in suono.
La scienza non è stata in grado si spiegare tutti i dettagli tecnici di questo sistema. Mentre producono questi segnali elettrici, le cellule dell’orecchio interno riescono anche a trasmettere frequenze, intensità e ritmi che vengono dall’esterno. Questo è un processo così complicato che la scienza finora non è stata in grado si stabilire se la distinzione della frequenza ha luogo nell’orecchio interno o nel cervello.
The inner walls of the cochlea in the inner ear are lined with tiny hairs. These move in line with the wave motion set up in the liquid in the inner ear by vibrations coming from outside. In this way, the electrical balance of the cells to which the hairs are attached changes, and forms the signals we perceive as "sound."
A questo punto c’è un fatto interessante da considerare riguardo al movimento dei piccoli peli sulle cellule dell’orecchio interno. In precedenza abbiamo detto che i peli ondeggiano in avanti e all’indietro spingendosi a vicenda come un domino. Ma di solito il movimento di questi piccoli peli è molto piccolo. La ricerca ora ha dimostrato che un movimento dell’ampiezza di un atomo può essere sufficiente a scatenare la reazione nella cellula. Esperti che hanno studiato la materia fanno un esempio molto interessante per descrivere la sensibilità di questi piccoli peli. Se immaginiamo che un pelo sia alto quanto la torre Eiffel, l’effetto sulla cellula attaccata ad esso inizia con un movimento equivalente a solo 3 centimetri sulla cima della torre. 322
Altrettanto interessante è la questione del come questi piccoli peli possono muoversi in un secondo. Questo cambia secondo la frequenza del suono. Se la frequenza aumenta, il numero di volte in cui questi piccoli peli possono muoversi raggiunge livelli incredibili: Per esempio, un suono con una frequenza di 20.000 fa sì che questi piccoli peli si muovano 20.000 volte al secondo.
Tutto quello che abbiamo esaminato finora ci dimostra che l’orecchio ha una struttura straordinaria. ad un esame più attento diventa evidente che questa struttura è irriducibilmente complessa, in quanto perché avvenga l'udito, è necessario che tutte le parti che compongono il sistema uditivo siano presenti e funzionino in ordine. Basta togliere una di esse - per esempio il martello nell’orecchio medio – o danneggiarne la struttura e non si potrà più udire alcunché. Per udire, elementi come timpano, martello, incudine e staffa, membrana dell’orecchio interno, coclea, liquido all’interno della coclea, i piccoli peli che trasmettono le vibrazioni al liquido delle sottostanti cellule sensoriali, le cellule stesse, la rete nervosa che va da esse al cervello e il centro dell’udito nel cervello devono tutti esistere perfettamente in ordine. Il sistema non può svilupparsi “per fasi” perché le fasi intermedie non avrebbero avuto alcuno scopo.
Il sistema irriducibilmente complesso dell’orecchio è qualcosa che gli evoluzionisti non possono mai spiegare in modo soddisfacente. Quando guardiamo le teorie che gli evoluzionisti occasionalmente propongono, ci troviamo di fronte ad una logica facilona e superficiale. Per esempio, lo scrittore Veysel Atayman che ha tradotto in turco il libro book Im Anfang War der Wasserstoff (Al principio era l’idrogeno, del biologo tedesco Hoimar von Ditfurth ed è ora considerato come un “esperto dell’evoluzione” dai media turchi, riassume la sua teoria “scientifica” sulle origini dell’orecchio e la cosiddetta evidenza di ciò, In questo modo:
İl nostro organo dell’udito, l’orecchio, emerse come risultato dell’evoluzione degli strati dell’endoderma e dell’esoderma che noi chiamiamo pelle. Una prova di ciò è che è che percepiamo suoni bassi nella pelle dello stomaco! 323
In altre parole, Atayman pensa che l’orecchio si è evoluto dalla pelle normale di altre parti del nostro corpo e vede il nostro percepire suoni bassi nella pelle come prova di ciò.
Consideriamo prima la “teoria” di Atayman e poi la cosiddetta “prova” che offre. Abbiamo appena visto che l'orecchio è una struttura complessa costituita da dozzine di parti diverse. Proporre che questa struttura emerse con “l’evoluzione di strati di pelle” è, in pratica, costruire castelli in aria. Quale mutazione o selezione naturale poteva far sì che avvenisse tale evoluzione? Quale parte dell’orecchio si formò per prima? In che modo quella parte, prodotto di coincidenze, poteva essere stata scelta dalla selezione naturale anche se non aveva alcuna funzione? In che modo il caso produsse tutti i sensibili equlibri meccanici dell’orecchio: timpano, martello, incudine e staffa, i muscoli che li controllano, orecchio interno, coclea, liquido in essa, i piccoli peli, le cellule sensibili al movimento, le loro connessioni nervose, ecc?
Gli evoluzionisti non hanno risposte a queste domande. In realtà suggerire che tutta questa complessa struttura è solo un “caso” è davvero una sfida all’intelligenza umana. Ma, secondo le parole di Michael Denton per i darwinisti “l’idea è accettata senza ombra di dubbio – il paradigma ha la precedenza!" 324
Al di là dei meccanismi della selezione naturale e della mutazione, gli evoluzionisti credono davvero in una “bacchetta magica” che fa venire fuori i sistemi più complessi per caso.
La “prova” che Atayman fornisce per questa teoria immaginaria è ancora più interessante. Egli dice “Il nostro percepire suoni bassi nella pelle ne è la prova”. Quello che chiamiamo suono in realtà consiste di vibrazioni nell’aria. Poiché le vibrazioni sono un effetto fisico, è normale che possono essere percepite dal senso del tatto. Per questo motivo è del tutto normale che dobbiamo essere in grado si percepire fisicamente suoni alti e bassi. Inoltre questi suoni influenzano anche fisicamente il corpo. La rottura di un vetro in un ambiente sotto alte intensità di suono ne è un esempio. La cosa interessante è che lo scrittore evoluzionista Atayman pensa che questi effetti sono una prova dell’evoluzione dell’orecchio. La logica che Atayman impiega è la seguente: “l’orecchio percepisce le onde sonore, la pelle è influenzata da queste vibrazioni, quindi l’orecchio si è evoluto dalla pelle”. Seguendo la logica di Atayman si potrebbe anche dire, “l’orecchio percepisce le onde sonore, il vetro è influenzato da esse, quindi l’orecchio si è evoluto dal vetro”. Una volta superati i limiti della ragione non c’è “teoria” che non possa essere proposta.
Altri scenari che gli evoluzionisti avanzano riguardo all’origine dell’orecchio sono sorprendentemente inconsistenti. Gli evoluzionisti sostengono che tutti i mammiferi, compresi gli esseri umani, si sono evoluti dai rettili. Ma come abbiamo visto prima, le strutture dell’orecchio dei rettili sono molto diverse da quelle dei mamiferi. Tutti i mammiferi hanno la struttura dell’orecchio interno formata di tre ossi che abbiamo appena descritto mentre nell’orecchio medio dei rettili c’è un solo osso. In risposta a ciò, gli evoluzionisti sostengono che quattro ossa separate nella mascella dei rettili cambiarono posto per caso e “migrarono” nell’orecchio medio e che, sempre per caso, assunsero la forma giusta per diventare incudine e staffa. Secondo questo scenario immaginario, il singolo osso dell’orecchio interno dei rettili cambiò forma e diventò il martello e l’equilibrio eccezionalmente delicato tra i tre ossi dell’orecchio medio si formò per caso. 325
Questa fantastica affermazione, non basata su alcuna scoperta scientifica (non corrisponde ad alcunché nei reperti fossili) è estremamente contraddittoria. Il punto più importante è che un tale cambiamento immaginario avrebbe lasciato una creatura sorda. Naturalmente un essere vivente non può continuare ad udire se le ossa della mascella iniziano lentamente ad entrare nell’orecchio interno. Una tale specie sarebbe stata in svantaggio rispetto ad altri esseri viventi e sarebbe stata eliminata secondo quello che gli evoluzionisti stessi credono.
D’altro canto, un essere vivente le cui ossa mascellari si muovessero verso l’orecchio sarebbe finito con una mascella difettosa. La capacità di masticazione di questa creatura sarebbe di molto diminuita e persino scomparsa totalmente. Anche questo sarebbe stato uno svantaggio per la creatura e ne avrebbe causato l’eliminazione.
In breve, i risultati che emergono quando si esamina la struttura dell'orecchio e le sue origini invalidano chiaramente le ipotesi degli evoluzionisti. L’enciclopedia Grolier Encyclopedia, una fonte evoluzionista, ammette che "l’origine dell’orecchio è ammantata di incertezza."326 In realtà, chiunque studi il sistema dell’orecchio con buon senso può facilmente vedere che è il prodotto della magnifica creazione di Dio.
The females of this frog species hide their young in their stomachs throughout the incubation period, and then give birth to them through their mouths. But in order for this to happen, a number of adjustments have to be made, all at the same time and with no mistakes allowed: The egg-structure has to be set up, the stomach acid must be neutralized, and the mothers have to be able to live for weeks without feeding.
L’irriducibile complessità non è una caratteristica che vediamo solo a livello biochimico o in organi complicati. Molti sistemi biologici posseduti da esseri viventi sono irriducibilmente complessi e per questo motivo invalidano la teoria dell’evoluzione. Lo straordinario metodo riproduttivo del Rheobatrachus silus, una specie di rana che vive in Australia, ne è un esempio.
Le femmine di questa specie usano un metodo affascinante per proteggere le uova dopo che sono state fertilizzate. Le ingoiano. I girini restano nello stomaco e crescono per le prime sei settimane dopo la schiusa. Come è possibile che possano restare nello stomaco della madre tanto a lungo senza essere digeriti?
È stato creato un sistema perfetto per consentire che ciò avvenga. Per prima cosa la femmina smette di mangiare e bere per quelle sei settimane il che significa che lo stomaco è riservato solo ai girini. Un altro pericolo, però, è il regolare rilascio di acido idroclorico e pepsina nello stomaco. Questi elementi chimici di normalmente ucciderebbero rapidamente la prole. Questo è impedito, però, da una misura speciale. I fluidi dello stomaco della madre sono neutralizzati da una sostanza ormonale, la prostaglandina E2, che è secreta prima dai gusci delle uova e poi dai girini. Quindi i piccoli crescono sani anche se nuotano in una pozza di acido.
Come si nutrono i girini nello stomaco vuoto? Anche a questo è stata data una soluzione. Le uova di questa specie sono significativamente più grandi di altre e contengono un tuorlo molto ricco di proteine sufficiente a nutrire i girini per sei settimane. Anche il momento della nascita è predisposto perfettamente. L’esofago della rana femmina si dilata durante la nascita proprio come la dilatazione che avviene nei mammiferi durante il parto. Dopo
l’uscita dei piccoli, esofago e stomaco tornano normali e la femmina inizia di nuovo a nutrirsi. 327
Il miracoloso sistema riproduttivo del Rheobatrachus silus invalida chiaramente la teoria dell’evoluzione perché tutto il sistema è irriducibilmente complesso. Ogni fase deve avvenire completamente in ordine perché le rane sopravvivano. La madre deve inghiottire le uova e smettere completamente di nutrirsi per sei settimane. Le uova devono rilasciare una sostanza ormonale per neutralizzare gli acidi dello stomaco. Un’altra necessità è il tuorlo d’uovo straordinariamente ricco di proteine. L’allargamento dell’esofago della femmina non può essere una coincidenza. Se tutte queste cose non avvenissero nella sequenza richiesta le piccole rane non sopravviverebbero e la specie si estinguerebbe.
Questo sistema, quindi, non può essersi sviluppato fase per fase, come asserisce la teoria dell’evoluzione. La specie esiste con tutto il sistema intatto sin da quando il primo esemplare venne all’esistenza. Un altro modo di dirle è che fu creata.
In questa sezione abbiamo esaminato solo alcuni esempi del concetto di irriducibile complessità. In realtà la maggior parte degli organi e di sistemi degli esseri viventi ha questa caratteristica. A livello biochimico, in particolare, i sistemi funzionano attraverso il lavoro congiunto di una serie di parti indipendenti e non possono in alcun modo essere ridotti ad ulteriore semplicità. Questo fatto invalida il darwinismo che cerca di spiegare le meravigliose funzioni della vita con processi casuali. Darwin disse che “se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualsiasi organo complesso che non abbia potuto essere formato attraverso modificazioni numerose, successive, lievi, la mia teoria dovrebbe assolutamente cadere”. Oggi la moderna biologia ne ha rivelato innumerevoli esempi. Si può solo concludere che il darwinismo è “assolutamente” caduto.
La filosofia materialista fonda le sue basi sulla teoria dell’evoluzione. Il materialismo poggia sulla supposizione che tutto quello che esiste è materia. Secondo questa filosofia, la materia esiste sin dall’eternità, continuerà ad esistere per sempre e non c’ niente altro che la materia. Per dare sostegno alle loro affermazioni, i materialisti usano la logica detta “riduzionismo”. Questa è l’idea secondo cui anche cose non osservabili possono essere spiegate da cause materiali.
Per chiarire meglio questi argomenti, prendiamo l’esempio della mente umana. È evidente che la mente non può essere toccata o vista. Inoltre, non ha alcun centro nel cervello umano. Questa situazione inevitabilmente ci porta alla conclusione che la mente è un concetto al di là della materia. Quindi, l’essere a cui ci riferiamo come “io” che pensa, ama, ha paura, si preoccupa o prova piacere o dolore non è un essere materiale come un sofà, un tavolo o una pietra.
312 Charles Darwin, The Origin of Species: A Facsimile of the First Edition, Harvard University Press, 1964, p. 189. (emphasis added)
313 Peter van Inwagen, Review about Michael Behe's Darwin's Black Box.
314 Prof. Dr. Ali Demirsoy, Kalitim ve Evrim (Inheritance and Evolution), Meteksan Publications, Ankara, p. 475. (emphasis added)
315 Norman Macbeth, Darwin Retried: An Appeal to Reason, Harvard Common Press, 1971, p. 131.
316 Cemal Yildirim, Evrim Kurami ve Bagnazlik (Theory of Evolution and Bigotry), Bilgi Publications, January 1989, pp. 58-59. (emphasis added)
317 Michael J. Behe, Darwin's Black Box, The Free Press, New York, 1996, p. 18.
318 Michael J. Behe, Darwin's Black Box, The Free Press, New York, 1996, pp. 18-21.
319 Michael J. Behe, Darwin's Black Box, The Free Press, New York, 1996, p. 22. (emphasis added)
320 J. R. P. Angel, "Lobster Eyes as X-ray Telescopes," Astrophysical Journal, 1979, No. 233, pp. 364-373. See also B. K. Hartline (1980), "Lobster-Eye X-ray Telescope Envisioned," Science, No. 207, p. 47, cited in Michael Denton, Nature's Destiny, The Free Press, 1998, p. 354.
321 M. F. Land, "Superposition Images are Formed by Reflection in the Eyes of Some Oceanic Decapod Crustacea," Nature, 1976, vol. 263, pp. 764-765.
322 Jeff Goldberg, "The Quivering Bundles That Let Us Hear," Seeing, Hearing, and Smelling the World, A Report from the Howard Hughes Medical Institute, p. 38.
323 Veysel Atayman, "Maddeci 'Madde', Evrimci Madde" (Materialist 'Matter', Evolutionist Matter), Evrensel News Paper, 13 June 1999. (emphasis added)
324 Michael Denton, Evolution: A Theory in Crisis, Burnett Books, London, 1985, p. 351.
325 Duane T. Gish, "The Mammal-like Reptiles," Impact, no. 102, December 1981.
326 "Ear / Evolution of the Ear" Grolier Academic Encyclopedia,1986, p. 6. (emphasis added)
327 William E. Duruelleman & Linda Trueb, "The Gastric Brooding Frog," Megraw-Hill Book com., 1986.