Loren Eisley
Un articolo dal titolo: “How Are New Species Formed? [Come si formano le nuove specie?]” apparve il 14 giugno 2003 sulla rivista New Scientist, nota per il suo accanito sostegno al darwinismo. L’autore, Gorge Turner, fece questa importante ammissione:
Fino a non molto tempo fa, pensavamo di sapere come si formano le specie. Credevamo che tale processo avesse avuto inizio quasi sempre con il completo isolamento delle popolazioni. Isolamento che si verificava spesso dopo che una popolazione era passata attraverso un consistente “collo di bottiglia genetico”, ad esempio come può succedere dopo che una femmina incinta viene confinata in un’isola remota, e i suoi discendenti si accoppiano tra loro. La bellezza di questo modello, cosiddetto “effetto fondatore”, era che lo si poteva anche sperimentare in laboratorio. In realtà, il modello non ha mai funzionato. Nonostante tutti gli sforzi dei biologi evoluzionisti, nessuno è mai neanche andato vicino alla creazione di nuove specie partendo da un popolazione fondatrice. E per di più, per quanto si sappia, nessuna nuova specie si è mai formata come risultato di una produzione, da parte di esseri umani, di piccole quantità di organismi all’interno di ambienti alieni.102
A dire il vero, questa ammissione non è nuova. Nel secolo e mezzo trascorso dopo Darwin, non è stata mai riscontrata alcuna speciazione, del tipo da lui prospettato, e mai si è avuta una spiegazione soddisfacente sull’origine delle specie.
Per capire, sarà utile esaminare quale tipo di “speciazione” avesse in mente Darwin.
La sua teoria traeva origine dalle indagini sulle variazioni nelle popolazioni animali. Una parte di queste indagini veniva fatta da persone che allevavano animali, selezionando le razze pregiate di cani, mucche o piccioni. Da ogni popolazione venivano scelti per essere allevati gli esemplari che possedevano le caratteristiche desiderate (ad esempio, cani che potessero correre velocemente, mucche che producessero un buon latte, o piccioni “intelligenti”). Nel giro di alcune generazioni, i discendenti di tali esemplari possedevano un’alta percentuale delle qualità selezionate. Per esempio, le mucche producevano più latte delle normali mucche.
Questo tipo di “variazione limitata” portò Darwin a pensare che in natura vi fosse un processo di cambiamento continuo, e che se tale processo fosse durato per un periodo abbastanza lungo, si sarebbero ottenuti dei cambiamenti radicali. In altre parole, l’evoluzione.
Darwin fece una seconda constatazione di questo tipo: le varie razze di fringuelli che aveva visto nelle isole Galapagos avevano dei becchi di forma differente da quelli dei fringuelli della terraferma. Nelle isole, nella stessa popolazione di fringuelli, si sviluppavano delle varietà con becchi diversi: lunghi, corti, curvi e diritti. Darwin concluse che queste varietà si sarebbero trasformate in specie separate, se i fringuelli di queste varietà diverse si fossero accoppiati tra loro.
Quando Darwin mise insieme tutti questi esempi di variazioni, fu portato a pensare che in natura avesse luogo una continua, illimitata modificazione, e che fosse necessario solo un prolungato periodo di tempo per consentire lo sviluppo di nuove specie, ordini e classi. Ma Darwin si sbagliava.
Quando si selezionano e allevano individui con una certa caratteristica dominante, solo i membri migliori e più forti di quella specie vengono prodotti. Ma questa riproduzione selettiva non può mai portare a una specie differente. Ad esempio, un cavallo non può discendere da un gatto, né una giraffa da una gazzella, o una prugna da una pera. Le pesche non si trasformano in banane, né i garofani in rose. In breve, in nessuna condizione, una specie può svilupparsi da un’altra specie. Le pagine seguenti spiegheranno dettagliatamente come Darwin si sbagliava su questo punto.
Darwin supponeva che le variazioni da lui osservate in natura fossero infinite. Pensava che se solo nel corso di poche generazioni si poteva ottenere un cambiamento in mucche, cani e piccioni, allora anche l’intera loro struttura poteva subire delle alterazioni, in un tempo sufficiente. Ma nei 150 anni trascorsi da allora, innumerevoli diversi esperimenti e osservazioni hanno invece dimostrato come questa illazione di Darwin fosse completamente infondata.
Tutti i tentativi fatti nel XX secolo di allevare animali e produrre vegetali ibridi, hanno rivelato, nei processi della variazione naturale, dei limiti che non potranno essere mai superati. Uno dei nomi più famosi in questo campo, è Luther Burbank, che credeva vi fosse una legge nascosta nelle specie che ne limita la variazione:
Io so, per esperienza, che posso far crescere una prugna lunga mezzo pollice o una lunga due pollici e mezzo, con ogni altra possibile lunghezza tra queste, ma devo ammettere che non vi è speranza nel cercare di riuscire ad ottenere una prugna piccola come un pisello oppure grande come un pompelmo. […] In breve, vi sono dei limiti alle possibilità di sviluppo, e questi limiti sono soggetti a una legge. […] Esperimenti portati avanti a lungo ci hanno dato la prova scientifica di ciò che avevamo già immaginato durante le osservazioni condotte; vale a dire che i vegetali e gli animali tendono tutti a ritornare, nel corso delle successive generazioni, verso una data forma intermedia. […] In breve, vi è senz’altro una tendenza verso questa media che mantiene tutti gli esseri viventi entro certi limiti più o meno già fissati.103
Al giorno d’oggi si può ottenere, con mezzi artificiali, qualche cambiamento genetico nella struttura biologica degli animali e dei prodotti agricoli. Possono essere prodotti cavalli più robusti e cavoli più grandi. Ma Darwin chiaramente arrivò a delle conclusioni sbagliate basandosi su questi esempi. Loren Eisley, uno dei più importanti antropologi del mondo, spiega:
Sembrerebbe che un allevamento domestico accurato, a prescindere da cosa possa fare per migliorare la qualità dei cavalli da corsa, o dei cavoli, non sia in effetti la strada per quella deviazione biologica illimitata che è l’evoluzione. Vi è molta ironia in questa situazione dato che, più di qualsiasi altro singolo fattore, proprio l’allevamento domestico è stato usato come argomentazione per […] l’evoluzione.104
Ed Edward S. Deevey, un biologo ed ecologo alla Florida University, fa notare che vi è un limite alla variazione in natura: “il grano è sempre grano e non, ad esempio, pompelmo, e noi non possiamo far spuntare le ali sui maiali, più di quanto le galline non possano fare uova di forma cilindrica.”105
Anche gli esperimenti condotti sulle mosche della frutta hanno urtato contro il muro della “limitazione genetica”. In tutti questi esperimenti, le mosche da frutta hanno subito dei cambiamenti fino a un certo punto, ma oltre tale limite non è stato riscontrato alcun cambiamento. Ernst Mayr, un ben noto neodarwinista, riferisce quanto segue su due esperimenti condotti sulle mosche della frutta:
Nel gruppo iniziale la media di setole su due gruppi di mosche, maschi e femmine, era di circa.36 La selezione messa in atto per abbassare tale media è riuscita, dopo 30 generazioni, a portare il numero a 25 chaetae, dopodichè quel gruppo si è estinto a causa della sterilità. […] Nella “linea elevata” (selezione per il numero più alto di setole), vi fu un rapido e costante progresso iniziale. Entro 20 generazioni la media passò da 36 a 56, senza improvvisi sbalzi o arresti. Ma a questo stadio la sterilità prese il sopravvento.106
Dopo tali esperimenti, Mayr giunse a questa conclusione:
Ovviamente qualsiasi drastico miglioramento, ottenuto durante una selezione, deve portare al pressoché totale esaurimento della variabilità genetica. […] Una delle più frequenti conseguenze di una selezione unilaterale è una caduta nella salute generale. E questo affligge praticamente qualsiasi esperimento riproduttivo.107
Uno dei testi più importanti che trattano questo soggetto è il Natural Limits to Biological Change [I limiti naturali dei cambiamenti biologici], scritto dal professore di biologia Lane P. Lester e dal biologo molecolare Raymond G. Bohlin. Nell’introduzione al loro libro, scrivono:
Non c’è dubbio che nelle popolazioni degli organismi viventi vi possano essere, nel tempo, cambiamenti nella loro anatomia, fisiologia, struttura genetica, ecc. Ciò che rimane difficile è sapere di quanto sarà possibile cambiare,e con quale procedimento genetico si otterranno questi cambiamenti. Gli allevatori di vegetali e di animali possono disporre di un notevole assortimento di esempi a dimostrazione di quanto si possano alterare dei sistemi viventi. Ma quando si comincia con un cane, si termina comunque con un cane – forse un cane dalle strane fattezze, ma pur sempre un cane. Una mosca della frutta rimane una mosca, una rosa, una rosa, e così via.108
Gli autori hanno studiato questo soggetto ed effettuato osservazioni ed esperimenti scientifici, per arrivare, alla fine, a queste due fondamentali conclusioni:
1) Non si possono ottenere dei nuovi dati genetici, senza che nei geni degli organismi non intervenga un’interferenza esterna. In mancanza di una tale interferenza, non possono comparire in natura nuovi dati biologici. Cioè non possono nascere nuove specie, nuovi organi e nuove strutture. Ciò che accade, in natura, a certe specie, è solamente una “variazione genetica”, che si verifica naturalmente in una determinata specie. Queste alterazioni minime includono lo sviluppo, ad esempio, di allevamenti di cani più bassi, più grandi, a pelo corto o a pelo lungo. Ma neanche in un milione di anni queste variazioni produrranno nuove specie o taxa più elevate (generi, famiglie, ordini, classi, phyla).
2) In natura, l’interferenza esterna con i geni degli organismi capita solo quando vi sono delle mutazioni. Ma queste mutazioni non sono mai benefiche, né producono nuovi dati genetici; distruggono solo i dati esistenti.
Pertanto è impossibile spiegare le “origini delle specie” in termini di selezione naturale, come Darwin pensava di fare. Non importa a quanta “selezione” siano sottoposti dei cani, questi rimarranno sempre cani; non ha senso asserire che, in passato, i cani erano in realtà pesci o batteri.
E allora, cosa resta dell’“interferenza esterna” nei geni, o mutazioni?
Sin dagli anni ’30 la teoria darwinista si è avvalsa di questa alternativa, e per questa ragione, il nome della teoria fu cambiato in “neodarwinismo”. Tuttavia le mutazioni non sono riuscite a salvare la teoria – un argomento importante da esaminare separatamente.
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I vari fringuelli che Darwin osservò nelle isole Galapagos erano un esempio di variazione ma, come in altri esempi, non fornirono alcuna prova certa dell’evoluzione. I riscontri fatti negli ultimi anni hanno dimostrato che i fringuelli non sono stati soggetti al genere di alterazione illimitata che la teoria di Darwin supponeva. Inoltre, la gran parte dei differenti tipi di fringuelli, che Darwin pensava rappresentassero 14 specie distinte, non erano altro, in effetti, che variazioni delle stesse specie, capaci di accoppiarsi l’una con l’altra. Le osservazioni scientifiche hanno dimostrato che l’esempio del becco del fringuello, citato in quasi tutte le pubblicazioni evoluzioniste, è in effetti un esempio di variazione che non offre alcuna prova per la teoria dell’evoluzione. Peter e Rosemary Grant andarono alle Galapagos a cercare delle prove per la cosiddetta evoluzione darwiniane, e passarono anni a osservare i fringuelli nelle isole; nel loro ben noto studio, riuscirono solo a documentare che l’evoluzione non si era verificata.109
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I dati contenuti nel gene sono molto complessi, così come lo sono le “macchine” molecolari che li codificano e li leggono per poi espletarne le funzioni produttive. Nessun evento casuale che possa influire su questo sistema, e neanche un qualsiasi “incidente”, possono portare a un aumento del numero dei dati genetici.
Si immagini, ad esempio, un programmatore che sta scrivendo un software sul suo computer, quando un libro gli cade sulla tastiera. Nel cadere il libro ne preme alcuni tasti, inserendo così nel testo delle lettere e dei numeri a casaccio. Una mutazione è qualcosa che somiglia a questo incidente. Proprio come la caduta del libro non può essere utile al programma – ma anzi, lo rovina - così le mutazioni danneggiano il codice genetico. Nel libro Natural Limits to Biological Change [Limiti naturali del cambiamento biologico], Lester and Bohlin scrivono che "le mutazioni sono sbagli, errori negli ingranaggi precisi della replicazione del DNA", il che significa che “mutazioni, variazione genetica e ricombinazione da sole non possono generare un cambiamento evolutivo importante.”110
Questo risultato, già anticipato a rigor di logica, è stato poi comprovato da riscontri ed esperimenti effettuati durante il XX secolo. Non è stata riscontrata alcuna mutazione, atta a migliorare i dati genetici di un organismo, che abbia portato a un cambiamento radicale.
Per questa ragione, nonostante accetti la teoria dell’evoluzione, Pierre-Paul Grassé, ex-Presidente della French Academy of Sciences, spiega che le mutazioni sono “mere fluttuazioni ereditarie attorno a una posizione mediana, un’oscillazione a destra, una a sinistra, ma senza alcun effetto evolutivo finale. […] Esse modificano solo ciò che è preesistente.“111
Il Dott. Grassé precisa che, per quanto riguarda l’evoluzione, il problema è che “alcuni biologi contemporanei, appena osservano una mutazione, subito parlano di evoluzione”. Dal suo punto di vista, questa opinione non corrisponde ai fatti poiché “non importa quante siano, le mutazioni non producono alcun genere di evoluzione.”112
La migliore prova che le mutazioni non producono nuovi dati genetici è quella fornita dalle mosche della frutta. Le mutazioni di queste mosche dimostrano che in natura, l’equilibrio, e non il cambiamento, domina gli organismi. Grazie al breve periodo di gestazione delle mosche della frutta, che dura solo 12 giorni, queste mosche sono state per anni il soggetto preferito per gli esperimenti sulle mutazioni. Pur di aumentare l’indice di mutazione del 15.000 per cento, in questi esperimenti furono utilizzati i raggi X. In questo modo gli scienziati poterono osservare delle mosche della frutta che, in poco tempo, avevano subito la stessa quantità di mutazioni a cui sarebbero state esposte, in condizioni naturali, in milioni di anni. Ma neanche queste mutazioni rapide produssero una nuova specie. Gli scienziati non furono capaci di ottenere nuovi dati genetici.
Nelle mosche della frutta, il classico caso della presunta “mutazione benefica” è quello del mutante con quattro ali. Di norma, queste mosche hanno due ali, ma qualche volta è capitato che ne sia nata qualcuna con quattro. La letteratura darwinianapresenta questo evento come uno “sviluppo” ma, come ha spiegato dettagliatamente Jonathan Wells nel suo libro Icons of Evolution [Le icone dell’ evoluzione], questa interpretazione è sbagliata. Queste ali extra non hanno muscoli per volare e rappresentano perciò uno svantaggio per la mosca della frutta. E neanche uno di questi mutanti è sopravvissuto fuori dal laboratorio dove erano nati.113
Nonostante tutto questo, gli evoluzionisti asseriscono che vi sono dei casi di mutazione benefica, anche se rari, e che attraverso la selezione naturale, si formano nuove strutture biologiche. Questo è davvero un errore enorme. Una mutazione certamente non comporta un aumento dei dati genetici e, pertanto, non favorisce l’evoluzione. Come viene spiegato da Lester e Bohlin:
Le mutazioni possono solo modificare quello che già esiste, e di solitoin modo insensato o deleterio. Con ciò non si vuol dire che la mutazione benefica sia proibita; forse inaspettata, ma non impossibile. Una mutazione benefica semplicemente permette, a chi ne è oggetto, di procreare un numero di discendenti più alto di quello normalmente possibile per le creature che non hanno subito una mutazione. […] Ma queste mutazioni non hanno niente a che fare con il cambiamento di un tipo di organismo in un altro […]
Al riguardo, Darwin richiama l’attenzione sui coleotteri senza ali di Madera. Per un coleottero che vive in un’isola molto ventosa, le ali possono essere senz’altro uno svantaggio. Le mutazioni che portano all’incapacità di volare, in questo caso, sono certamente benefiche. Un caso simile è quello dei pesci ciechi che vivono nelle grotte senza luce. Gli occhi sono molto vulnerabili, e una creatura che vive nella più completa oscurità, trae beneficio da una mutazione che riduce tale vulnerabilità. Mentre queste mutazioni portano a dei drastici e benefici cambiamenti, è importante notare che questi comportano sempre delle scomparse, mai delle acquisizioni. Non è stata mai osservata la comparsa di ali oppure di occhi in specie che prima non li possedevano.114
Lester e Bohlin, pertanto, concludono che, complessivamente, le mutazioni sono sempre causa di menomazione e degenerazione.
Le mutazioni causano sempre una perdita di dati genetici; credere che abbiano prodotto i codici genetici straordinariamente complessi dei milioni di specie differenti, è come credere che dei libri caduti a casaccio su una tastiera di un computer abbiano scritto milioni di enciclopedie. È un’assurdità impensabile. Il Dott. Merle d'Aubigne, capo del Dipartimento Ortopedico dell’Università di Parigi, offre questo importante commento:
Non posso ritenermi soddisfatto dall’idea che una mutazione fortuita […] possa spiegare la complessa e razionale organizzazione del cervello, ma anche dei polmoni, del cuore, dei reni, nonché delle articolazioni e dei muscoli. Com’è possibile sfuggire all’idea di una qualche forza intelligente e organizzatrice?115
In breve, le mutazioni non spiegano l’“origine delle specie” di Darwin. Il biologo evoluzionista austriaco Gerhard Müller, in una recensione da lui scritta per l’edizione dell’inverno 2006 della rivista Biological Theory, ammette l’incapacità, per la sintetica teoria del darwinismo, di giustificare l’origine delle novità morfologiche.
Il neodarwinismo non può spiegare l’origine degli esseri viventi nei termini dei suoi due meccanismi, la selezione naturale e la mutazione. Nessun dato genetico può essere prodotto per mezzo della selezione naturale, vengono selezionati solo i dati esistenti. E neanche le mutazioni producono dei nuovi dati genetici; è raro che queste non influenzino i dati esistenti, di solito li distruggono. Chiaramente le origini dei dati genetici – e pertanto, la vita – non hanno nessuno di questi insensati meccanismi naturali.
Come asserito dal Dott. Merle d’Aubigne, questa origine è una “forza intelligente e organizzatrice”. Questo potere è Dio Onnipotente con la sua infinita intelligenza, conoscenza e potenza. Nel Corano, Dio dice:
Egli è colui che ha dato origine alla creazione e poi la rigenera. Questo per Lui è molto facile. Sua è la tanto lodata designazione nei cieli e sulla Terra. Egli è l’Onnipotente, Il Saggio. (Surat ar-Rum: 27)
Il darwinismo ha provato a negare questa realtà, ma non vi è riuscito; la sua teoria è diventata obsoleta, sepolta nella storia.
Il tentativo di spiegare l’origine delle specie in termini di evoluzione è arrivato a un punto morto, come è stato ammesso apertamente dagli evoluzionisti negli ultimi anni. La situazione viene riassunta in un articolo del 1996 dai biologi evoluzionisti Gilbert, Opitz e Raff nella rivista Developmental Biology dove scrivono: “L’origine delle specie – il problema di Darwin – rimane insoluto”.116
Ma l’uomo della strada non è tenuto al corrente di questa situazione. Il sistema darwinista preferisce tenere il pubblico all’oscuro del fatto che non vi sia possibilità di risposta alla questione dell’origine delle specie, così come proposta da Darwin. Si preferisce invece, con i libri di testo e con i media, continuare a ribadire i miti dell’evoluzione. Nel mondo scientifico questi miti sono chiamati “Le storie proprio così”, e costituiscono la fonte principale di motivazione per quelli che accettano la teoria di Darwin.
In quasi tutti i testi evoluzionisti si può trovare, alle volte con qualche piccola variazione, la più diffusa di queste storie, cioè come gli uomini sono arrivati a camminare su due arti. Ecco la storia: i primati umanoidi, che erano i progenitori degli esseri umani, vivevano tra gli alberi delle giungle africane. Le loro spine dorsali erano curve, e la conformazione delle loro mani e dei loro piedi era l’ideale per aggrapparsi ai rami degli alberi. Quando l’estensione della giungla africana si ridusse, gli umanoidi migrarono nella savana dove furono costretti a ergersi per poter vedere al di sopra dell’erba alta, in altre parole ad alzarsi in piedi. Fu così che i nostri antenati impararono a stare e a camminare eretti. E le loro mani, che ormai non servivano più per sostenersi, iniziarono a essere usate per costruire degli utensili. Più gli ominidi usavano le loro mani, più si sviluppava la loro intelligenza. E così diventarono degli esseri umani.
Storie come questa si trovano spesso nei giornali e nelle riviste evoluzioniste. Vengono raccontate ai lettori da giornalisti che accettano la teoria dell’evoluzione o la cui conoscenza della verità è limitata o superficiale, come se fossero fatti reali. D’altra parte, sono sempre più numerosi gli scienziati che dichiarano queste storie prive di alcun valore scientifico. Il Dott. Collin Patterson, per anni decano dei paleontologi del British Museum of Natural History a Londra, scrive:
È abbastanza facile imbastire storie su come una forma diede origine a un’altra, e trovare le ragioni per cui gli stadi evolutivi siano stati favoriti dalla selezione naturale. Ma queste storie non sono parto della scienza, dato che non vi è alcun modo di sottoporle a prove.117
E nel suo libro Fossils and Evolution [Fossili ed evoluzione] del 1999, il paleontologo evoluzionista T.S. Kemp riprende il concetto della mancanza di valore scientifico di ciò che è stato scritto circa la presunta evoluzione degli uccelli:
Uno scenario per l’origine degli uccelli potrebbe essere quello secondo cui, durante il Tardo Giurassico, vi fu una spinta alla selezione che favorì, tra un gruppo di dinosauri bipedi di piccole dimensioni, l’abitudine sempre più diffusa di cercarsi una dimora tra gli alberi. Questo aumentò la loro abilità sia nello sfuggire ai predatori che nel trovare nuove fonti di cibo. Le susseguenti forze selettive fecero sì che riuscissero dapprima a saltare, poi a planare, e infine a trovare la forza per volare di ramo in ramo da un albero all’altro. Assolutamente nessuna di queste supposizioni circa le forme intermedie, le condizioni ecologiche in cui vissero, o le forze selettive a cui furono soggetti, potrebbe essere provata empiricamente. Il risultato è lo scenario evolutivo oppure, in un quadro più desolante, , la “Storia del proprio così”.118
Il soggetto trattato da Patterson e Kemp, ovvero che le “storie proprio così” non possono essere provate e pertanto non hanno alcun valore scientifico, è solo uno degli aspetti del problema. Un secondo aspetto, forse più importante del primo, è che queste storie, a parte il fatto di non avere alcun supporto scientifico, sono anche assurdità impossibili.
Per spiegarne il perché torniamo alla storia degli “umanoidi che cominciarono a camminare su due arti.”
Jean Baptiste Lamarck inventò questo mito approfittando del mondo scientifico poco sofisticato di 150 anni fa. La scienza genetica moderna, comunque, ha dimostrato che una caratteristica acquisita nel corso di un’intera vita non passa in eredità alla generazione seguente. L’attinenza di ciò si rifà alla supposizione secondo cui l’evoluzione dei cosiddetti antenati degli esseri umani si basava sulle caratteristiche che questi avevano acquisito durante la loro vita. Questo scenario afferma che gli umanoidi si alzarono sulle zampe posteriori per vedere al di sopra della vegetazione, liberando così le loro mani per poterle usare, e avendo così, come risultato, uno sviluppo della loro intelligenza. Niente di tutto questo è mai accaduto. Inoltre non è possibile per un essere vivente acquisire delle caratteristiche semplicemente cercando di stare eretto e usando arnesi manuali. Ma anche se si accettasse la possibilità di una simile acquisizione (che è scientificamente impossibile), queste abilità non potrebbero essere tramandate alla generazione seguente. Pertanto, anche se fosse successo l’impossibile e una scimmia avesse potuto forzare il suo scheletro in una posizione eretta, questa abitudine non avrebbe potuto essere tramandata ai suoi discendenti, e l’evoluzione non sarebbe stata perciò possibile.
Dunque perché questa idea di Lamarck, screditata da più di un secolo, ancora viene imposta alla società?
Gli evoluzionisti dicono che queste “storie proprio così” racchiudono un vero e proprio processo di evoluzione biologica. Essi non credono che la necessità porti all’evoluzione, ma che la necessità guidi invece la selezione naturale verso una particolare direzione. Credono inoltre che essa determini la selezione delle mutazioni che porteranno a dei risultati in quella direzione. Quando insistono affermando cioè che gli umanoidi si ersero su due arti, intendono dire che questo successe perché era vantaggioso per loro comportarsi così. Qualcuno si raddrizzò perché il suo scheletro aveva subito queste mutazioni proprio al momento giusto, e quelli che alzarono sulle zampe posteriori furono scelti dalla selezione naturale.
In altre parole vengono ignorate completamente le spiegazioni scientifiche sulla mutazione, poiché se si esaminassero questi dettagli ci si accorgerebbe che sono solo superstizioni senza alcun fondamento scientifico.
Le “storie proprio così” degli evoluzionisti suppongono che le mutazioni appariranno per fornire quello di cui un organismo ha bisogno e per assicurargli qualsiasi adeguato vantaggio.
Per di più, non si è mai vista finora una mutazione che abbia sviluppato dei dati genetici.
Credere in questo scenario è come credere in una bacchetta magica che dà a un essere vivente tutto ciò che gli serve. Questa è solo superstizione.
Anche se il zoologo francese Pierre-Paul Grassé teoreticamente accetta l’evoluzione, egli è ben cosciente della realtà della situazione e si è pronunciato con determinazione contro il darwinismo descrivendo la sua strana credenza sulle mutazioni:
È già difficile credere a una comparsa opportuna di mutazioni che permettano agli animali e ai vegetali di soddisfare le loro necessità, eppure la teoria darwiniana esige anche di più. Un singolo vegetale, un singolo animale richiedono migliaia e migliaia di […] eventi appropriati. E così i miracoli diventerebbero la regola: eventi, con un’infinitesima probabilità che avvengano, non mancherebbero di verificarsi. […] Non vi è alcuna legge contro il sognare a occhi aperti, ma la scienza non può concedersi tale lusso.119
In breve, il darwinismo è una creazione della fantasia che non ha niente a che vedere con la scienza. E le “storie proprio così” che sono state fatte passare come realtà scientifica non hanno neanche il minimo supporto scientifico.
Tutti questi miti hanno in comune l’ipotesi secondo cui le speciali necessità degli esseri viventi sono prima individuate, e poi soddisfatte, per mezzo delle mutazioni. Gli evoluzionisti chiamano queste necessità “pressione evoluzionista”, come, ad esempio, il bisogno di ergersi su due zampe nell’erba alta della savana.
Solo coloro che accettano a occhi chiusi il darwinismo possono supporre che le mutazioni necessarie siano pronte e a portata di mano. Chiunque non sia rimasto vittima di un siffatto cieco dogmatismo si può rendere conto che le “storie proprio così” sono solo invenzioni prive di relazione con la scienza.
Infatti la natura di tali congetture è adesso apertamente ammessa dagli scienziati evoluzionisti. Ne è un ulteriore esempio il commento di Ian Tattersall, conservatore nella Divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural History, in un articolo del The New York Times, intitolato "Why Humans and Their Fur Parted Ways [Perchè le strade degli esseri umani e delle loro pellicce si sono separate]”. La risposta al quesito suggeriva uno scenario con vari vantaggi. Tattersall ha affermato: “Vi sono tanti tipi di nozioni sui vantaggi della perdita del pelo, ma sono tutte “storie proprio così.”120
Nel suo libro del 1999, l’evoluzionista Henry Gee, redattore scientifico della rivista Nature, ha scritto che è sbagliato cercare di spiegare l’origine di un organo in termini di cosa sia per esso vantaggioso:
[…] i nostri nasi furono fatti per portare gli occhiali, e così abbiamo gli occhiali. Ebbene i biologi evoluzionisti ragionano proprio così, quando interpretano ogni struttura in termini di adattamento ai bisogni del momento, mentre mancano di riconoscere che tali bisogni non ci dicono come si è evoluta la struttura, oppure come la sua storia evolutiva possa di sé avere ispirato la forma e le proprietà della struttura stessa.121
Queste affermazioni sono molto importanti dato che in futuro sarà probabile imbattersi in tali “storie proprio così” nelle pubblicazioni evoluzioniste e specialmente nei media. Ci si deve ricordare che queste storielle sono prive di qualsiasi fondamento scientifico. Viene sempre usato lo stesso metodo al momento della loro creazione. Prima vengono descritti i vantaggi di una particolare caratteristica di un essere vivente, poi si inventa uno scenario per dimostrare come questi vantaggi possano essere stati portati da una specifica evoluzione. Naturalmente, in pratica non vi è limite alle fantasiose tesi che possono essere prodotte in questo modo: “La proboscide dell’elefante gli permette di raccogliere il cibo da terra, e pertanto si è evoluta per tale scopo” oppure “il collo della giraffa le permette di arrivare ai rami alti degli alberi, e perciò si deve essere evoluto per consentire all’animale di farlo”. Accettare questi ragionamenti vuol dire credere che la natura si preoccupi dei bisogni di ogni sua creatura. Vale a dire cioè, credere in un mito.
La natura di questo mito diventa più chiara ogni giorno di più.
Nel rivedere ciò che è stato esaminato sin dall’inizio di questo capitolo, è evidente che l’affermazione secondo cui l’origine delle specie è un processo evolutivo casuale era il risultato di deduzioni sbagliate fatte da Darwin nel XIX secolo, poco evoluto dal punto di vista scientifico. Ogni riscontro ed esperimento effettuato nel XX secolo ha dimostrato invece che nessun meccanismo in natura produce nuove specie, né tantomeno taxa superiori negli esseri viventi.
Ora che la scienza ha distrutto l’errore darwinista, è emerso che la vera origine delle specie è dovuta alla Creazione. Dio Onnipotente, con la Sua suprema conoscenza, ha creato ogni essere vivente.
102 George Turner, "How Are New Species Formed?" [Come si formano le nuove specie?], New Scientist, 14 giugno 2003, p. 36.
103 Norman Macbeth, Darwin Retried [Darwin ridiscusso], Boston, Gambit INC., 1971, p. 36.
105 E. Deevey, "The Reply: Letter from Birnam Wood" [La risposta: una lettera da Rirnam Wood], in Yale Review, (1967), Vol. 61, p. 636.
106 Ernst Mayr, Animal Species and Evolution [Specie animali ed evoluzione], Cambridge: Harvard University Press, 1963, pp. 285-286.
108 Lane P. Lester, Raymond G. Bohlin, Natural Limits to Biological Change [Limiti naturali ai cambiamenti biologici], 2nd Ed., Probe Books, 1989, pp. 13-14.
109 Jonathan Wells, Icons of Evolution [Le icone dell’evoluzione], pp. 159-175.
110 Lane Lester, Raymond G. Bohlin, Natural Limits to Biological Change [Limiti naturali ai cambiamenti biologici)], 2nd edition, Probe Books, 1989, pp. 67, 70.
111 Pierre-Paul Grassé, Evolution of Living Organisms [Evoluzione degli organismi viventi], New York: Academic Press, 1977, pp. 88-97.
113 Jonathan Wells, Icons of Evolution [Le icone dell’evoluzione], pp. 178, 186.
114 Lane Lester, Raymon G. Bohlin, Natural Limits to Biological Change [Limiti naturali ai cambiamenti biologici], Probe Books, 1989, pp. 170-171.
115 Merle d'Aubigne, "How Is It Possible to Escape the Idea of Some Intelligent and Organizing Force?" [Com’è possibile sfuggire dall’idea di una qualche forza intelligente e organizzativa?] in Margenau - Varghese (eds.), Cosmos, Bios, Theos, p. 158.
116 Scott Gilbert, John Opitz - Rudolf Raff, "Resynthesizing Evolutionary and Developmental Biology" [Risintetizzando la biologia evolutiva e dello sviluppo], Developmental Biology 173, Article No. 0032, 1996, p. 361.
117 Una lettera personale (scritta il 10 aprile 1979) dal Dtt. Collin Patterson, Paleontologo Senior al British Museum of Natural History di Londra, a Luther D. Sunderland; riportata nel libro Darwin's Enigma [L’Enigma di Darwin] di Luther D. Sunderland, San Diego:Master Books, 1984, p. 89.
118 T. S. Kemp, Fossils and Evolution [Fossili ed evoluzione], Oxford University Press, 1999, p. 19.
119 Pierre-Paul Grassé, Evolution of Living Organisms (L’evoluzione degli organismi viventi], New York: Academic Press, 1977, p. 103.
120 Nicholas Wade, "Why Humans and Their Fur Parted Ways" [Perchè le strade dell’uomo e della sua pelliccia si sono separate], The New York Times, 19 agosto 2003.
121 Henry Gee, In Search of Deep Time [Alla ricerca del tempo profondo], p. 103.