L’Hyracotherium, posto all’inizio della cosiddetta serie dei cavalli, fu in origine identificato da Richard Owen, un antidarwinista. Ma in seguito i paleontologi cercarono di conformare questa creatura all’evoluzione.
Quando Darwin si accinse a prospettare la sua teoria, non vi erano forme intermedie atte a sostenere le sue tesi, ma egli sperò che ne venisse scoperta qualcuna in seguito. Per rimediare a questa grave deficienza, i paleontologi che credevano nel darwinismo misero insieme un certo numero di fossili di cavallo trovati nel Nord America in modo da formare una sequenza. Nonostante fosse evidente che non vi erano forme intermedie nei reperti fossili, i darwinisti pensarono di aver ottenuto un grande successo.
Uno dei pezzi più importanti di questa sequenza era stato già scoperto prima del darwinismo. Nel 1841, il paleontologo inglese Sir Richard Owen trovò un fossile appartenente a un piccolo mammifero e, ispirato dalla sua somiglianza all’irace, un animaletto dalle fattezze di una volpe trovato in Africa, chiamò il fossile Hyracotherium. Lo scheletro di un irace era quasi identico al fossile trovato da Owen, eccetto che per il cranio e la coda.
Come fecero con altri fossili, i paleontologi che avevano adottato il darwinismo cominciarono a valutare l’Hyracotherium da un punto di vista evoluzionista. Nel 1874, il paleontologo russo Vladimir Kovalevsky provò a stabilire una relazione tra l’Hyracotherium e i cavalli. Nel 1879, due ben noti evoluzionisti del tempo andarono anche oltre e compilarono una serie di cavalli che sarebbe rimasta nell’agenda darwinista per molti anni a venire. Il paleontologo americano Othniel Charles Marsh, assieme a Thomas Huxley (conosciuto come il bulldog di Darwin), concepì un grafico dove mise in ordine dei fossili, muniti di zoccoli, secondo la loro struttura dentale e il numero di dita nella zampa anteriore e posteriore. Durante tale procedimento, al fine di dar rilievo all’idea dell’evoluzione, all’Hyracotherium di Owen fu dato il nome di Eohippus che significa “cavallo dell’aurora”. Le loro affermazioni, assieme ai loro grafici, furono pubblicate nell’American Journal of Science e divennero la base della sequenza che rimase esposta per anni nei musei e nei libri di testo come la presunta prova dell’evoluzione del cavallo dei nostri giorni.122 Tra i generi mostrati come stadi di questa successione furono inclusi: Eohippus, Orohippus, Miohippus, Hipparion e infine il cavallo moderno, Equus.
Nel secolo seguente, questa successione fu considerata prova della cosiddetta evoluzione del cavallo. La diminuzione nel numero delle dita e la graduale crescita delle dimensioni degli animali furono sufficienti per convincere gli evoluzionisti, i quali per decenni sperarono di mettere insieme una simile sequenza di fossili per altre creature. Ma le loro speranze non furono esaudite: non furono mai capaci di mettere insieme una sequenza di fossili per altre creature come, stando alle apparenze, avevano fatto per il cavallo.
Per di più, qualche contraddizione diventò evidente quando si tentò di inserire nella serie dei cavalli altri fossili appena scoperti Certe caratteristiche di questi nuovi ritrovamenti, la loro età, il numero di dita – erano incompatibili con la sequenza e la inficiarono. Erano incongruenti con la serie dei cavalli, che si rivelò solo un assortimento di fossili, senza alcun significato.
Gordon Rattray Taylor, ex Capo Consigliere Scientifico alla BBC Television, descrisse così la situazione:
Forse la debolezza più grave del darwinismo consiste nell’incapacità dei paleontologi di trovare convincenti filogenesi o sequenze di organismi a dimostrazione di importanti cambiamenti evolutivi. […] Il cavallo è spesso citato come il solo esempio elaborato completamente. Ma il fatto è che la linea di successione da Eohippus a Equus è molto erratica. Si asserisce che tale linea dimostri un continuo aumento delle dimensioni, ma la verità è che qualcuna delle varianti è più piccola dell’Eohippus, non più grande. Campioni provenienti da diverse fonti possono anche esser messi insieme in una sequenza dall’apparenza convincente, ma non vi è alcuna prova che gli esemplari siano in effetti datati nell’ordine di tempo dichiarato.123
Taylor ammise apertamente che la serie dei cavalli non si basava su alcuna prova. Heribert Nilsson, un altro ricercatore, fece la stessa dichiarazione, affermando che la serie dei cavalli era “molto artificiosa”:
L’albero genealogico dei cavalli è bello e continuo solo nei libri di testo. Nella realtà che risulta dalle ricerche effettuate, questo albero è formato da tre parti, e solo una di queste può essere identificata come contenente dei cavalli. Le forme della prima parte sono dei piccoli cavalli quanto sono cavalli i damalischi al giorno d’oggi. La costruzione del cavallo è pertanto molto artificiosa, dato che è un insieme di parti non equivalenti, e non può essere pertanto considerata come una serie di continue trasformazioni.124
Oggi anche molti evoluzionisti respingono la tesi che sostiene che i cavalli passarono attraverso una graduale evoluzione. Nel novembre 1980, ebbe luogo al Field Museum of Natural History a Chicago un simposio a cui presero parte 150 evoluzionisti. All’ordine del giorno vi erano i problemi associati alla teoria dell’evoluzione graduale. Uno degli oratori, l’evoluzionista Boyce Rensberger, disse che non vi era prova nei reperti fossili di uno scenario rappresentativo della graduale evoluzione del cavallo, e che non vi era mai stato un processo simile:
Si sa da parecchio tempo che il popolare esempiodell’evoluzione del cavallo, che suggerisce graduale sequenza di cambiamenti da un animale con quattro dita, oppure somigliante a una volpe, vissuto circa 50 milioni di anni fa, fino al ben più grande cavallo dei giorni nostri, con uno singolo zoccolo, è falso. Invece di una graduale trasformazione, i fossili di ogni specie intermedia appaiono ben distinti, persistono senza cambiamenti, e poi diventano estinti. Non vi sono forme di transizione.125
Dalle dichiarazioni di Taylor, Nilsson e Rensberger, si evince che non vi è alcun supporto scientifico per la presunta evoluzione dei cavalli, e che la sequenza è piena di contraddizioni. E allora, se non vi è alcuna prova, su cosa si basa la serie dei cavalli? La risposta è evidente. Come in tutti gli altri scenari darwinisti, la serie dei cavalli è immaginaria; gli evoluzionisti misero insieme alcuni fossili, sulla base dei loro stessi preconcetti, e diedero al pubblico l’impressione che quelle creature si fossero evolute una dall’altra.
Marsh può essere definito l’architetto della serie dei cavalli, e non vi sono dubbi che ebbe un ruolo nel creare tale impressione. Quasi un secolo dopo, la “tecnica” di Marsh fu descritta dall’evoluzionista Robert Milner, il quale disse che “Marsh mise in ordine i suoi fossili in modo che portassero a una sola specie sopravvissuta, ignorando con leggerezza molte incongruenze e tutte le prove che lo contraddicevano.”126
In breve, Marsh creò un suo scenario e poi assemblò i fossili come quando si mettono in ordine, secondo le loro dimensioni, dei cacciaviti in una scatola di attrezzi. Purtroppo il sistema non funzionò come Marsh si aspettava, dato che i nuovi fossili fecero ribaltare il suo scenario. L’ecologista Garret Hardin dice:
Vi fu un tempo in cui i fossili dei cavalli disponibili sembravano indicare una linea di successione diretta, dalle piccole alle grandi dimensioni […] ma appena vennero scoperti altri fossili […] fu del tutto evidente che l’evoluzione non si era affatto sviluppata in linea diretta.127
Non fu possibile disporre i fossili a dimostrazione di una graduale evoluzione, come aveva immaginato Darwin. Lo spiega l’evoluzionista Francis Hitching:
Anche quando tutti i fossili possibili sono inclusi, emergono grandi sbalzi nelle dimensioni dei cavalli, da un genere all’altro, e senza alcun esempio di transizione.128
Oggi, la serie dei cavalli non dà alcuna speranza agli evoluzionisti. È stato scoperto che i cavalli vissero nella stessa epoca dei loro presunti progenitori, addirittura fianco a fianco, ed è pertanto evidente che non si può stabilire una discendenza ancestrale tra loro. Per di più, molte caratteristiche scoperte nelle strutture dentali e ossee dei cavalli tolgono validità a tale sequenza. Tutto questo porta ad un fatto evidente: non vi è mai stata alcuna relazione evolutiva tra queste creature messe in sequenza. Come per tutti gli altri, questi generi appaiono nei loro strati fossili tutti insieme ed in un unico momento. Nonostante i loro sforzi, gli evoluzionisti non sono stati capaci di dimostrare alcuna caratteristica di transizione tra questi generi, e vale pertanto la pena dare un sguardo più attento alla serie dei cavalli, che i darwinisti hanno un tempo difeso così intensamente.
La serie dei cavalli, al contrario ddello scenario evoluzionista esibito nei musei e nei libri di testo, è un controsenso, da diversi punti di vista. Prima di tutto, gli evoluzionisti non sono stati capaci di stabilire una qualsiasi connessione tra l’Eohippus (o Hyracotherium) che ritengono sia l’inizio della sequenza, e i condilartri che, apparentemente, sono gli antenati degli ungulati.129
Vi sono, per di più, incongruenze anche all’interno della serie stessa. È stato provato che alcune delle creature incluse nella sequenza hanno vissuto nella stessa epoca di altre . Nel gennaio del 1981, la rivista National Geographic pubblicò un sorprendente rapporto scritto da alcuni ricercatori che, nello stato del Nebraska negli Stati Uniti, avevano trovato per caso migliaia di fossili datati dieci milioni di anni fa, e conservati perfettamente dopo una improvvisa eruzione vulcanica. Queste notizie sferrarono un brutto colpo allo scenario dell’evoluzione dei cavalli, dato che le foto pubblicate dei fossili ritrovati erano di cavalli sia con tre dita del piede che con un solo zoccolo,130 confutando pertanto l’affermazione che i generi nella serie dei cavalli evolvessero uno dall’altro. Queste creature, , che si consideravano legate da una connessione ancestrale, in realtà erano vissute nello stesso periodo e nello stesso luogo, e non mostravano alcuna caratteristica transizionale a riprova dell’evoluzione. Questa scoperta dimostrò che la propaganda evoluzionista della serie dei cavalli, da lungo tempo fatta circolare nei musei e nei libri di testo, era completamente immaginaria e confezionata solo in base a dei preconcetti.
Una ancora più grande assurdità, perpetrata in nome del darwinismo, fu quella del Mesohippus e dei suoi presunti progenitori. Jonathan Wells, noto per le sue critiche al darwinismo, scrive nel suo libro Icons of Evolution [Le icone dell’evoluzione] che, sebbene il Miohippus in effetti apparve tra i reperti fossili prima del Mesohippus, vi rimase però anche in seguito.131
È interessante constatare che lo stesso O.C. Marsh parlò dell’esistenza di cavalli con tre dita della zampa, vissuti all’epoca nell’America sud-occidentale, che somigliavano agli Protohippus, già estinti.132 L’incongruenza della serie dei cavalli non si riscontra solo nel fatto che dei generi esistevano nello stesso tempo e luogo dei loro cosiddetti “antenati”, dai quali gli evoluzionisti affermavano discendessero direttamente. Nessuna zona isolata del mondo può essere presa di per sé come prova a sostegno del fatto che l’esistenza dei cavalli cominciò a seguito di un processo evolutivo. Gli evoluzionisti misero insieme, seguendo i loro preconcetti, dei frammenti di fossili presi in vari continenti, e li usarono per avvalorare le loro affermazioni. Questa metodologia, comunque, non va d’accordo con la scienza oggettiva.
Mentre montavano la serie dei cavalli, gli evoluzionisti fecero affidamento sul numero delle dita, e sulle dimensioni e struttura dei denti, dei fossili – ma questo procedimento gli si rivoltò contro. Per dare un ordine cronologico alla loro sequenza, essi affermarono che l’epoca dei presunti progenitori dei cavalli andava da quando questi si nutrivano di arbusti, fino a quando iniziarono a mangiare erba, e che i loro denti si erano sviluppati di conseguenza. Ma secondo gli studi condotti su dei denti di 5 milioni di anni fa, appartenenti a sei differenti specie di cavalli, Bruce MacFadden dimostrò che i denti di queste creature non subirono in effetti mai alcun cambiamento.133
D’altra parte, si è notato che il numero di costole e di vertebre lombari nei fossili della sequenza fu soggetto a una variazione fluttuante nel tempo, il che è l’esatto opposto di quanto previsto dall’evoluzione. Ad esempio, nella presunta serie evolutiva dei cavalli, il numero di costole passò da 15 a 19, per poi riscendere a 18. Nei cosiddetti progenitori, il numero delle vertebre lombari passò da sei a otto, e poi di nuovo a sei. Queste strutture hanno una profonda influenza sui movimenti di questi animali, e perfino sulle loro vite. Logicamente, una specie le cui strutture vitali sono sottoposte a variazioni casuali, chiaramente non può perpetuarsi.
Un’ultima incongruenza nella serie dei cavalli è la supposizione secondo cui, se si nota un aumento delle dimensioni in un essere vivente, questo sta a significare che è in corso un “progresso” evolutivo. Se si tiene conto delle dimensioni attuali dei cavalli ci si accorge che questa supposizione non ha senso. Al giorno d’oggi il cavallo più grande è il Clydesdale, ed il più piccolo è la Fallabella, che è alta solo 43 centimetri.134 Considerando tale grande differenza nelle dimensioni dei cavalli, ci si accorge di quanto fossero insensate le pretese degli evoluzionisti di determinare la sequenza dei cavalli basandosi proprio sui progressivi aumenti delle loro dimensioni.
In breve, l’intera serie dei cavalli è chiaramente un mito evoluzionista basato solo su dei pregiudizi. E tocca ai paleontologi evoluzionisti - i silenziosi testimoni del crollo del darwinismo – renderlo noto. Sin dai tempi di Darwin infatti, questi erano a conoscenza che non esistevano strati di fossili indicativi di forme intermedie. Nel 2001, Ernst Mayr disse: “Niente ha impressionato di più i paleontologi della discontinuità nei reperti fossili”135 esprimendo così il disappunto, che serpeggiava tra i paleontologi da molto tempo, dovuto alla constatazione che le innumerevoli forme intermedie, immaginate da Darwin, non erano mai state trovate.
Forse per questa ragione, i paleontologi hanno discusso per decenni sull’invalidità della serie dei cavalli, anche se alcuni tra loro continuano a difenderla con ostinazione. Nel 1979, ad esempio, David Raup disse che la serie dei cavalli era totalmente priva di significato e invalida:
La raccolta dell’evoluzione è ancora sorprendentemente affannosa e, ironicamente, abbiamo oggi ancora meno esempi della transizione evolutiva di quanti ve ne fossero disponibili ai tempi di Darwin. Con questo intendo dire che i classici esempi di cambiamenti darwiniani, come l’evoluzione dei cavalli nel Nord America, sono stati modificati o scartati appena si sono avute delle informazioni più dettagliate. Quel che sembrava fosse una gradevole e semplice progressione, quando relativamente pochi dati erano a disposizione, appare ora molto più complessa e meno graduale. E il problema di Darwin così non si risolve.136
Circa 20 anni fa, il Dott. Niles Eldredge, un paleontologo evoluzionista di uno dei musei più famosi nel mondo, The American Museum of Natural History, confessò che le affermazioni evoluzioniste sui diagrammi della serie dei cavalli, esposti nel suo stesso museo, erano immaginarie. Eldredge criticò le asserzioni secondo cui questa ipotetica serie fosse valida abbastanza da essere inclusa nei libri di testo.
Devo ammettere che un’enorme quantità di queste affermazioni è finita nei libri di testo come se fossero vere. A riprova di ciò, l’esempio più famoso ancora oggi esibito qui nel museo, cioè l’esibizione dell’evoluzione dei cavalli, èstato preparato forse 50 anni fa. Ed è stato continuamente presentato come una verità concreta in un libro di testo dopo l’altro. Ebbene io penso che questo sia deplorevole, in special modo perchè proprio le persone che diffondono questo tipo di storie sono forse a conoscenza della natura speculativa di buona parte di ciò che viene affermato.137
Questi commenti degli esperti dimostrano chiaramente che le asserzioni sulla serie dei cavalli sono campate in aria. Malgrado ciò, ancora oggi nei musei di tutto il mondo viene esibita questa serie, e ai visitatori viene raccontata la storiella che i cavalli sono una specie evoluta. Ironicamente, uno dei più gravi errori nella storia scientifica viene mostrato nelle strutture predisposte per favorire la conoscenza delle persone sulle realtà della scienza, e farne apprezzare l’accuratezza. E invece ciò che i visitatori vedono è solo un mito darwinista che è stato screditato da decenni.
Gli evoluzionisti affermano che il numero delle dita della zampa dei cavalli è diminuito nel tempo, basando questa affermazione sui soprossi esistenti nelle zampe anteriori dei cavalli dei giorni nostri. Nel cosiddetto processo evolutivo, essi affermano, le tre dita dei cavalli retrocessero fino a formare i soprossi. Tuttavia, i soprossi non sono le vestigia definite inutili dagli evoluzionisti. Essi rafforzano invece le zampe per la corsa e si sa che ne riducono lo stress causato dal galoppo. Forniscono dei punti di giunzione per diversi muscoli. Formano inoltre un incavo protettivo che ospita il legamento sospensorio, un vitale sostegno elastico che supporta il peso dell’animale quando si muove.138
Una zampa di cavallo è un esempio della Creazione. Pierre-Paul Grassé spiega le caratteristiche dello zoccolo del cavallo con termini tecnici, e poi dimostra che la sua continuità non può derivare da alcun processo casuale. L’eccellenza della struttura nelle giunture delle zampe, i cuscinetti che ne assorbono la pressione. Il liquido lubrificante che ne rende facili i movimenti, i legamenti e la struttura, sono tutti stupefacenti:
Questo zoccolo, che si innesta nell’arto come un dado che protegge la terza falange, è capace, senza guarnizioni o molle elastiche, di tamponare delle forze d’urto che alle volte raggiungono il peso di oltre una tonnellata. Non si può essere formato solo per caso: un attento esame della struttura dello zoccolo rivela che è un deposito di coattazioni e di originalità organiche. La parete cornea, per mezzo delle sue lamine del cheratofillo, si fonde con le lamine del podofillo dello strato cheratogeno. Le rispettive lunghezze delle ossa, il loro modo di articolarsi, le curve e le forme delle superfici articolari, la struttura delle ossa (l’orientamento e la disposizione degli strati ossei), la presenza di legamenti e tendini che scorrono nelle guaine, di cuscinetti, di ossa navicolari, di membrane sinoviali con il loro liquido sieroso lubrificante, tutto ciò suggerisce una continuità costruttiva che degli eventi casuali, necessariamente caotici e incompleti, non possono avere né prodotto né mantenuto.
Questa descrizione non entra nei dettagli dell’ultrastruttura, dove gli adattamenti sono ancor più rimarchevoli; dato che risolvono problemi di meccanica coinvolti nella locomozione rapida negli arti monodattili.139
Le dichiarazioni di Grassé illustrano chiaramente la perfetta struttura della zampa del cavallo. E oggi se ne sa ancora di più, come dimostrano le indagini recenti.
In uno studio del 2002, condotto da dei ricercatori della Florida University, si è scoperto che un osso particolare della zampa del cavallo (il terzo metacarpo) possiede delle proprietà uniche. Come accertato nello studio, in quest’osso vi è un foro, grande come un pisello, attraverso il quale i vasi sanguigni possono entrare, su un solo lato dell’osso. Naturalmente i fori causano debolezze strutturali. Ma nei test sulle sollecitazioni di quest’osso, condotti in laboratorio, contrariamente a quanto ci si aspettasse, l’osso non si è rotto in prossimità del foro. Ulteriori analisi hanno dimostrato che l’osso è sistemato in modo tale che le tensioni vengano convogliate verso una sua zona più resistente, per evitarne così la rottura in quel particolare punto. Questa struttura ha suscitato tanta ammirazione che la NASA ha finanziato Andrew Rapoff, professore assistente professore di ingegneria aerospaziale e meccanica, affinché la imiti nei veicoli spaziali, in prossimità dei fori per il passaggio dei cavi.140
1- Un pony dello Shetland, la più piccola razza di cavalli britannici
2- Un pony di montagna allevato nelle isole occidentali scozzesi
3- Un pony Timor di origine australiana
4- Un cavallo selvaggio asiatico di origine Mongola
5- Un cavallo Bretone allevato nella Bretagna Occidentale
6- Un cavallo Percheron della Normandia
7- Una razza delle Ardenne che vive nella Francia Orientale
La struttura della zampa del cavallo supera la capacità inventiva degli ingegneri esperti nelle tecnologie più avanzate, ed è ora imitata dall’industria aeronautica. Come Grassé ha sottolineato, tali speciali strutture non possono essere spiegate in termini di avvenimenti casuali. È evidente che la zampa del cavallo ha delle caratteristiche superiori che non possono nascere per caso; in altre parole, i cavalli nacquero con tutte le loro speciali particolarità a causa della Creazione superiore voluta da Dio.
In conclusione, la serie dei cavalli presentata come un fatto nella letteratura evoluzionista del XX secolo è stata screditata. I cavalli non forniscono alcuna prova dell’evoluzione, ma la loro complessa anatomia è invece un’importante testimonianza della Creazione.
E così, il mito di Darwin dell’evoluzione dei cavalli, come gli altri suoi miti, è stato screditato.
122 O. C. Marsh, "Recent Polydactyle Horse"s [Recenti cavalli polidattili], American Journal of Science 43, 1892, pp. 339-354.
123 Gordon Rattray Taylor, The Great Evolution Mystery [Il grande mistero dell’evoluzione], New York: Harper & Row, 1983, p. 230.
124 Heribert Nilsson, Synthetische Artbildung Lund, Sweden: Vertag CWE Gleenrup, 1954, pp. 551-552.
125 Boyce Rensberger, "Ideas on Evolution Going Through a Revolution Among Scientists" [Idee sull’evoluzione coinvolte in una rivoluzione tra scienziati], Houston Chronicle, 5 novembre 1980, sec. 4, p. 15.
126 Milner, The Encyclopedia of Evolution [L’enciclopedia dell’evoluzione], 1993, p. 222.
127 Garret Hardin, Nature and Man's Fate [La natura e il destino dell’uomo], New York: Mentor, 1961, pp. 225-226
128 Francis Hitching, The Neck of the Giraffe [Il collo della giraffa], pp. 16-17, 19, 28-30
129 R.E. Kofahl, Handy Dandy Evolution Refuter [Confutatore dell’evoluzione indovina-indovinello], San Diego: Beta Books, 1997, p. 159.
130 M.R. Voorhies, "Ancient Ashfall Creates a Pompeii of Prehistoric Animals" [Una antica caduta di ceneri crea una Pompei di animali preistorici], National Geographic, Vol. 159, No. 1, January 1981, pp. 67-68,74; "Horse Find Defies Evolution" [Il ritrovamento di cavalli sfida l’evoluzione]," Creation Ex Nihilo 5(3):15, January 1983, http://www.answersingenesis.org/docs/3723.asp.
131 Jonathan Wells, Icons of Evolution [Le icone dell’evoluzione), p. 199; Royal Truman, A review of Icons of Evolution [Un Riesame delle iconedell’evoluzione], www.answersingenesis.org/home/area/magazines/tj/docs/tj_v15n2_icons_review.asp.
132 O.C. Marsh, "Recent polydactyl horses" [Cavalli polidattili recenti]," American Journal of Science, 43: 339–354, 1892.
133 Bruce J. MacFadden et al., "Ancient diets, ecology, and extinction of 5-million-year-old horses from Florida" [Diete antiche, ecologia, ed estinzione dei cavalli di 5 milioni anni fa dalla Florida], Science 283 (5403): 824–827, February 5,1999.
134 "Horse and horsemanship" [Cavalli ed equitazione], Encyclopædia Britannica, 20:646655, 15th edition 1992.
135 Ernst Mayr, What Evolution Is [Cos’è l’evoluzione], New York: Basic Books, p. 16.
136 D.M. Raup, "Conflicts between Darwin and paleontology" [Conflitti tra Darwin e la paleontologia], Field Museum of Natural History Bulletin 50:22, 1979
137 L.D. Sunderland, Darwin's Enigma [L’enigma di Darwin], 1988, p.78.
138 J. Bergman - G. Howe, 'Vestigial Organs' Are Fully Functional [Gli organi vestigiali sono totalmente funzionali] , Kansas City: Creation Research Society Books, 1990, p. 77.
139 Pierre-Paul Grasse, Evolution of Living Organisms [Evoluzione degli organismi viventi], pp. 51-52.
140 University of Florida, "From the Bone of a Horse, a New Idea for Aircraft Structures" [Dall’osso di un cavallo, una nuova idea per le strutture aeronautiche] 2 dicembre 2002,http://www.napa.ufl.edu/2002news/horsebone.htm.